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The daytrippers - L'amante in città
Anno: 1996
Regista: Greg Mottola;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 26-07-1998


L’amante in città The daytrippers

L’amante in città The daytrippers

 

L’amante in città è una commedia agrodolce che si affida alle performance degli attori. Greg Mottola esordisce alla regia con un lungometraggio low budget, una sceneggiatura ben scritta, incentrata sui dialoghi, sui tic e le nevrosi dei personaggi. Come spesso capita il titolo italiano porta fuori strada. L’originale "daytrippers" si addice benissimo alla struttura da road movie, suggerisce lo spostamento di un’intera famiglia che si mette in viaggio sulla sua station wagon, lascia l’abitazione in periferia, per raggiungere la "peccaminosa" metropoli.

La dolce insegnante Eliza D’amico (Hope Davis) scopre un bigliettino nella stanza da letto. Si tratta di alcuni versi del poeta Andrew Marwell, indirizzati al marito Louis (Stanley Tucci, il regista di Big Night) e firmati da una certa Sandy. Eliza non ce la fa ad affrontare il marito, che lavora a Manhattan come pubblisher editoriale (promuove giovani talenti), anche perché non è affatto sicura di essere tradita dato che quelle righe potrebbero essere di un'aspirante scrittrice e per di più il suo rapporto con Louis, anche dal punto di vista sessuale, va a gonfie vele. Preferisce consultare la famiglia: la madre Rita (Anne Meara), classica arpia che non ascolta nessuno e vuole controllare tutto e tutti, il frustrato marito Jim (Pat McNamara) chiuso in un placido silenzio, la sorella Jo (la Parker Posey di Party Girl’s), adolescente con voglia di emanciparsi dalla famiglia e il suo boyfriend Carl (Liev Schreiber), bravo ragazzo, intellettuale idealista (ha un debole per la filosofia), che sogna di pubblicare il romanzo che sta scrivendo, il cui surreale protagonista ha la testa di un cane da punta.

I nostri sono pronti per la singolare missione: accompagnare Eliza a Manhattan e aiutarla a smascherare il marito fedifrago.

Le teorie di Carl sulla borghesia fanno un po’ il punto della situazione: meglio una società governata dagli aristocratici ("loro sì che hanno classe, perfino quando sono condannati a morte") piuttosto che una democrazia livellata verso la mediocrità, rappresentata proprio dalla borghesia che non possiede alcun valore. La borghesia così sarebbe responsabile dei peggiori difetti umani, tra cui ostacolare la creatività individuale. Ma la teoria è smentita dalla realtà. Questi personaggi con la loro carica eccentrica sono tutt’altro che tristi borghesi, e lo stesso epilogo indica che la facciata borghese è puntualmente messa in crisi dagli eventi imprevedibili della vita.

Il talento di Mottola si evidenzia soprattutto nel delineare con leggerezza e graffiante umorismo anche il personaggio più odioso, nondimeno quando i caratteri hanno una valenza decisamente negativa.

È illuminante a proposito una delle scene varianti del film, che descrive, sdrammatizzandolo con un sorriso, il rapporto terribile tra due sorelle costruito sulla diffidenza reciproca ("per me è come una persona che incrocio in ascensore" dice una delle sorelle) e sulla più misera avarizia

(litigano sull’eredità della madre che consiste in un mucchio di cianfrusaglie e pillole di antibiotico).

Oltre a una buona mano nel tracciare i segni particolari di ciascun personaggio, Mottola rivela un'esemplare attitudine ai tempi della narrazione. Con grande umiltà e mai ricorrendo a vezzi di stile, come le camere a mano, molto in voga nel cinema indipendente americano degli ultimi anni.