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Stir of Echoes - Echi mortali
Anno: 1999
Regista: David Koepp;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 16-04-2000


Echi mortali

ECHI MORTALI

Soggetto e regia: David Koepp
Fotografia: Fred Murphy
Montaggio: Jill Savitt
Effetti: Casey Cannon, Van Ling
Make up: Tony Gardner, Jim Beinke
Costumi: Leesa Evans
Interpreti: Kevin Bacon, Kathryn Erbe. Illeana Douglas, Liza Weil, Kevin Dunn, Conor O'FarrellZachary David Cope

"Ti uccideranno, Tom. Sia te che Maggie."
Esiste uno slittamento temporale all'interno dell'essenziale componente onirica, che estrapola il dettaglio e incarna lo svelamento del film: un verbo coniugato in modo diverso da quel Frank che agisce uno stesso spazio: una volta in un sogno premonitore che pilota il risveglio in ogni sua fase - tranne appunto quella relativa alla frase pronunciata da Frank -, l'altra nell'epilogo del film.

La differenza tra le due versioni rimarca il labile margine che s'interpone tra gli eventi che si svolgono da un lato della soglia, dove orripilante appare la manifestazione sovrannaturale, o dall'altro, dove raccapriccianti sono i "normali" vicini, sanamente sportivi come il giovane suicida o acidamente censori come sua madre, che commenta molte sequenze dal basso del comune buon senso moralista. Non è un universo borgesiano, ma l'essenza dei mondi di Matheson, che lasciano ampi margini alle confusioni tra tempi diversi che trasformano spazi il più delle volte chiusi, normalmente una casa, in questo caso una villetta neo-gothic in un vecchio quartiere di Chicago (che non si limita ad essere location unica per le sue caratteristiche ma si propone come soggetto attraverso i suoi paesaggi costantemente solcati dagli inconfondibili vagoni della metropolitana sopraelevata che invadono lo spazio sonoro e visivo come un ulteriore disturbo della percezione), completamente "scavata", sventrata dall'interno. Infatti gli scivolamenti sul piano dell'irrazionale avvengono sulla base temporale, perché l'unità di spazio è fondamentale per dare alla mente un appiglio a cui aggrapparsi in modo da poter organizzare l'intreccio con lo scopo di renderlo fruibile pur insinuando il dubbio che ci sia qualche componente incontrollabile razionalmente. Eppure Tom dice esplicitamente che l'unica domanda da porsi è "Dove?", e quindi l'esclusività attribuita alle diversificazioni nel tempo e nell'ambito onirico risulta prettamente linguistica, accentuando la dicotomia con l'interesse nell'ambito del significato, che è una semplice indagine sul luogo in cui si cela il corpo e dunque sbilanciata sul versante spaziale; un dato confermato dai misteri della comunità rivelati dalla compattezza degli indizi tutti concorrenti alla ricostruzione, fondata su prolessi e oggetti sottolineati prima per preparare il finale secondo un canovaccio tipico dei thriller, che forniscono tutti gli elementi per mettere ordine alle deduzioni sparpagliate con intenzione evidente.


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La maestria di Matheson (citato anche nel libro letto dalla baby-sitter: The Shrinking Man) è quella di proporre gli episodi sotto innumerevoli punti di vista ma senza ripetere mai precisamente pur mantenendosi coerente con l'impianto; questo è particolarmente evidente nel momento in cui si ritorna nuovamente nella sala di "proiezione", ma stavolta questa non è deserta: la differenza con l'esperienza precedente è minima, ma sostanziale.
La mente riesce ad essere ricettiva e a scandagliare momenti e situazioni diverse, ma soprattutto diventa oggetto, soglia essa stessa, semplice contenitore da riempire con suggestioni, allucinazioni. Immagini: per questo risulta facile introdurre l'inserto metalinguistico, il cinema - anzi la sala cinematografica, che apparenta lo spettatore con Tom, il protagonista: "Se ti concentri sullo schermo, ti avvicini a lui." - diventa luogo rituale che spalanca usci verso altri mondi paralleli, soglia potenzialmente custode di nuovi approcci, anche un po' inquietanti, dove alle immagini si sostituiscono lettere di parole imperative, che evocano They Alive di Carpenter (la cognata gli rivela di avergli ordinato: "Il tuo cervello deve essere una porta aperta.", che riassume l'orrore rappresentato nel film di Carpenter), accentuando la sensazione di un sottile bisogno di trovare referenti all'interno della storia del cinema. Sullo schermo televisivo (accomunato nella possibilità di ricreare mondi dall'uso del telecomando, pratica nella quale appare più abile il bambino, la cui forte volontà è dalla prima sequenza messa in campo, insieme alla sua dote mesmerica, proposta attraverso un primo piano rivolto verso di noi, come se fossimo l'entità con cui ci rendiamo conto subito egli ha un rapporto esclusivo) si riconosce La notte dei morti viventi rifiutata dall'immaginario vergine di Jack, il bambino con lo shining, film apparentato da tutta la sequenza in cui protagonista è il poliziotto afroamericano - che funge da guida: "E' un recettore. É come stare in un tunnel con una torcia che solo ogni tanto si accende." - il film di Kubrick è anche richiamato dalla scelta della ricorsività del rosso come segnale comunicativo tra la defunta che guida l'indagine sulla propria morte e appare nella pellicola soprattutto quando non viene percepita da Maggie nel bagno e fugacemente attraverso l'attonito sguardo di Tom.

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Interessante che le prime ossessioni si manifestino nella mente di Tom durante una scopata coniugale, forse perché in quell'occasione si vuole rimarcare la maggiore propensione all'apertura di sé e probabilmente per introdurre la crisi che comporta la percezione delle voci sia a livello individuale (il bambino sembra più corazzato da questo punto di vista e anche un po' estraneo agli spaesamenti degli adulti), sia in particolare nel ménage di coppia, poiché Maggie è tagliata fuori dalla sua esclusione dalla complicità tra padre e figlio, fondata sulla possibilità di sentire il sovrannaturale e avere rapporti con Samantha. Altrettanto apprezzabile la scelta di evitare effetti speciali che esulano dalle costruzioni "quotidiane" delle Twilight Zone di Matheson: il dente che rotola o l'unghia che si svelle dal dito sono flash agghiaccianti quanto lo splatter più abusato ed in più sono realmente coerenti con l'intreccio, tornando utili alla ricostruzione dei fatti. E tutto torna in una spiegazione razionale, tuttavia secondo i canoni del genere l'ultima sequenza del film ci propone una splendida carrellata di voci sentite attraverso le orecchie del bambino: un brusio invadente, sintomo di infiniti altri crimini irrisolti?

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"Ti avrebbero ucciso, Tom. Sia te che Maggie."