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Sotto la sabbia
Anno: 2000
Regista: Francois Ozon;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 10-05-2001


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Sous la sable
Di François Ozon

Tra i tanti temi che il cinema può trattare quello dell'elaborazione del lutto è senza dubbio uno tra i più difficili. Soprattutto per un attore rappresenta una grande sfida: deve provare delle sensazioni fortissime, e saperle rendere in modo convincente e partecipato. Perché - attenzione - per elaborare un lutto non basta soffrire per la morte di qualcuno: è necessario infatti innanzi tutto prendere atto del fatto che "quel qualcuno" è morto. Bisogna arrivare sull'orlo dell'abisso e guardare in fondo.

In un romanzo che peraltro non ho neanche amato in modo particolare Stephen King riesce a raccontare questo momento in modo magistrale: ci descrive un uomo che ha appena perso prematuramente la moglie e che solo dopo giorni se ne rende conto davvero: quando trova cioè sotto il letto il libro che lei stava leggendo, lo apre, trova il segno di dove si era fermata, e comincia a leggere la pagina successiva, realizzando che lei, la moglie, mai avrebbe letto quelle righe a venire. Per l'uomo è un pugno nello stomaco dolorosissimo, un momento terribile: la moglie è morta, quel libro, quelle pagine che lei non leggerà mai glielo urlano lacerandogli la carne, distruggendolo nel profondo.

Marie, lo splendido personaggio femminile di "Sotto la sabbia" decide scientemente di fermarsi un attimo prima, e dopo la morte improvvisa del marito comincia a vivere per sottrazione, per rimozione: il marito non è mai morto. Neanche di fronte al cadavere decomposto, trovato parecchi giorni dopo, accetta "quel momento": quello non è suo marito, contro ogni evidenza suo marito è scomparso, ma non è mai morto. Costruirsi una esistenza parallela può essere un metodo per sfuggire a quel momento, a quella presa di coscienza: ma l'inevitabile prima o poi arriva, e non essere preparati può essere devastante, condurre alla tragedia. Una grossa sfida per un attore, si diceva: ancora più grande quella affrontata dalla Rampling, che comunica uno stato d'animo di vita sospesa, ferma sul ciglio del burrone, incapace di guardare in basso. Una sfida difficilissima, e vinta nella maniera più assoluta: perché quella morte la viviamo noi al posto suo, soffriamo noi per lei, viviamo quell'esperienza dolorissima che lei si rifiuta di vivere. La Rampling parla con tutto il corpo, con tutta la sua fisicità. Un film che si vive dentro, questo "Sotto la sabbia": imperdibile.