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Potere assoluto Anno: 1997 Regista: Clint Eastwood; Autore Recensione: Luca Aimeri Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 05-11-1997
Potere Assoluto (Absolute Power), di Clint
Eastwood. Sceneggiatura, William Goldman. Dall'omonimo
romanzo di David Baldacci (ed. Mondadori). Con Clint
Eastwood, Gene Hackman, Laura Linney, Ed Harris, E.G.
Marshall. Usa. Dur.: 2h e 1'.
Ha qualcosa di hammettiano l'incipit di "Potere
Assoluto"... almeno, questa è stata la mia
impressione; mi è venuto in mente un racconto del
"padre dell'hard-boiled", "La Ragazza dagli Occhi
d'Argento", in cui il detective protagonista capita in una
casa per via di un'indagine, la sua presenza viene fraintesa
(lui vi è giunto casualmente, all'oscuro dei loschi
traffici che vi si svolgono): e per una quarantina di pagine
l'azione si svolge in una stanza, con una modulazione a
trecentosessanta gradi del concetto di "capovolgimento" -
delle sorti, delle alleanze, delle parti, della vita in
morte, dell'ignoranza in conoscenza, dello spaesamento in
intuizione, dell'assenza in presenza e viceversa. Né
il detective, né il lettore capisce dove ci si sia
cacciati: quello che è comunque chiaro è il
pericolo incombente, quello che è assolutamente
lampante è l'assurdità della situazione... Con
doti sviluppate si potrebbe fare convivere la tensione
(cioè, la sospensione) con l'ironia e la risata
(cioè, lo sfogo): Hammett ci riuscì in quel
racconto, e più in generale nell'arco di un'intera
carriera; Clint Eastwood ci è riuscito in "Potere
Assoluto", ed in particolare nella infinita sequenza
iniziale... Ladro gentiluomo, in linea con i suoi eroi
solitari precedenti - un che di romantico stempera la
durezza, un profondo senso della giustizia è
arricchito da un codice d'onore d'altri tempi, Clint
Eastwood si introduce nella villa di un miliardario per
compiere un furto ed assiste ad un omicidio: la situazione
appare semplice, il classico presupposto thriller "uomo
sbagliato nel posto sbagliato nel momento sbagliato" che
attraverso l'azione del vedere/guardare automaticamente si
trasforma in testimone scomodo, "uomo che sa troppo". Ma
Eastwood porta la situazione alle estreme conseguenze,
variandola ed arricchendola, facendone slittare
continuamente i toni e la carica drammatica: la scontatezza
dei passaggi ed il taglio registico a dir poco piatto del
furto si rivelano dopo poco soltanto il primo
gradino-pretesto di una escalation virtuosistica che spazia,
sul filo del voyeurismo, altalenando, tra comicità
erotismo violenza assurdo mistero suspense sorpresa doppio
azione...: tutto in una stanza (come in una stanza del Motel
lynch-giffordiano?) - in odore di teatralità e
metacinema al contempo. Nel complesso, lo spirito del film
è paradigmaticamente compreso in questo incipit: tra
alti e bassi (sicuramente l'inizio rappresenta il picco
più alto) una natura quasi ludica sottende l'intera
operazione. La naiveté (a tratti depalmiana) che si
respira è la condicio sine qua non del gioco di
dilatazione delle situazioni tipiche; l'ironia è la
chiave di rilettura che annulla l'eventuale fastidio della
forzatura delle costruzioni; l'autoironia è il punto
di forza che trasforma la smorfia incartapecorita ed
imperturbabile di Eastwood in contrappunto, ed eleva il film
ad intelligente e maturo approdo di una carriera ed il
personaggio a prezioso biglietto d'ingresso per una nuova
passeggiata critica nella galleria dei "duri" eastwoodiani.
L'intreccio, che si fa vieppiù fitto sino a
raggiungere -purtroppo- una certa frettolisità nella
conclusione, non è tuttavia da intendere come puro
divertissement di un sessantasettenne che mastica cinema da
una vita: i luoghi, le figure, le situazioni, le atmosfere
(non vogliamo svelare troppo della trama) che sono messi in
scena presentano agganci concreti con la realtà (del
passato e del presente) e permettono a Eastwood l'ennesima
variante di un personale discorso sul potere e sui suoi vizi
costitutivi.
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