Troppo si è già detto sulla sceneggiatura e sui rapporti teatro/cinema. Io preferisco sorvolare e concentrarmi sull'immagine.
La nota dominante è l'uso del corpo di Cecchi/Caccioppoli come uno stilo. E' lui che "scrive" il film, tracciando linee fortissime sullo schermo, trascinandosi dietro la mdp per poi fuggirla abbandonandola, ferma, attonita.
Il corpo interagisce dialetticamente con la scenografia (Martone è stato bravissimo nel trovare "bei posti", belli veramente), che abita, riempie con una presenza sfuggente, nevrotizzante, fantasmatica. Ma Cecchi non è solo movimento, bensì anche immobilità, pose statuarie; e tutto grazie a... un impermeabile. L'indumento da cui mai si separa contribuisce a creare un'aura classicista, ora manto, ora sudario: bella la composizione sul tavolo della sala riunioni del Senato Accademico, composizione dominata, sullo sfondo, da un busto di marmo bianco.
Quando Caccioppoli esce di scena, lo sguardo sembra liberarsi, penetrando nella babilonia che si forma intorno al funerale e, per la prima volta, giudicando, prendendo le distanze, come avviene nell'ultima beckettianissima sequenza: il marchese è abbandonato al proprio destino (anche dal maggiordomo), mentre il quadro cade su una poltrona vuota accanto a una finestra di balcone aperta.