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Mission: Impossible
Anno: 1996
Regista: Brian De Palma;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 18-03-1998


Mission: Impossible (id.), di Brian De Palma. Soggetto, D. Koepp, S. Zaillian. Sceneggiatura, D. Koepp, R. Towne. Con T. Cruise, J. Voight, E. Beart, J. Reno, V. Rhames, V. Redgrave, K. Schott-Thomas, H. Czerny. Usa, 1996. Dur.: 1h e 55'.

Mission: Impossible dà l'impressione di essere un film irrisolto. Tra action e spy-story, la sceneggiatura non riesce a lanciare un ponte sufficientemente robusto: ed il costrutto vacilla. La vicenda è classica: un agente segreto si trova a dover districare una matassa di tradimenti e doppiogiochi, al centro della quale è un personaggio misterioso in possesso di un dischetto contenente informazioni segretissime. Ovviamente, il maggiore indiziato è lo stesso agente, che, braccato dai suoi colleghi, deve riuscire a dimostrare la propria innocenza smascherando il vero colpevole. Soggetto classico, come classica è l'ambientazione, giocata a cavallo tra Praga e Londra, tra est ed ovest, con relativi fantasmi cinematografici e spionistici... Purtroppo l'intreccio non è rigoroso come quello dei classici del genere: troppi "buchi" nella trama, troppa poca ironia per passarci sopra. Gli sceneggiatori hanno tentato, invano, di dare corpo ad una vicenda "ad enigma", in cui, per individuare il colpevole, si procede per eliminazione di possibili sospetti grazie ad accumulo progressivo di informazioni e di indizi... In una parola, detection. Per complicare l'intreccio ed attualizzarlo, introducono l'elemento "internet", ormai immancabile ingrediente di ogni storia che tratti di scambio di informazioni: le trattative viaggiano in rete. La posta elettronica permette il totale anonimato ai protagonisti: niente voce, niente volto, soltanto nomi. Ecco che Cruise, agile e colto Sherlock Holmes, scova il colpevole, gli si sostituisce nelle trattative, risale al compratore dei dati top-secret, ecc. ecc. Ma è tutto così improbabilmente semplice, veloce, immediato! Esattamente come sbrigativo è il trattamento riservato alla base Cia di Londra in cui l'agente ed i suoi nuovi alleati devono introdursi per copiare dei files dal computer centrale. Il problema che si riscontra in questo segmento del film è forse paradigmatico per individuare il grosso handicap dell'intera operazione: la base Cia viene presentata indirettamente (dalle parole di Cruise e compagni) come una sorta di Fort Knox, inespugnabile; il computer in essa contenuto come qualcosa di inarrivabile ed inaccessibile. Insomma, una missione impossibile. Eppure i nostri entrano nell'edificio con uno degli espedienti più visti della storia del cinema (travestendosi da pompieri, e simulando un'emergenza); raggiungono il cervello elettronico, dopo aver "sistemato" l'addetto con una pozione; infine, tramite collegamento video con un mago dell'informatica, azzeccano al primo colpo il codice d'accesso e portano a termine la missione. Costruita l'attesa negli spettatori di una missione impossibile, con la prospettiva di mille ostacoli al limite dell'invalicabile, gli autori della sceneggiatura la tradiscono riducendo ogni difficoltà alla scena in cui Cruise è appeso ad una corda e, senza poter toccare terra, traffica con il computer... Effettivamente la sequenza contiene della suspense (l'imminente ritorno dell'addetto al computer; le forze stremate di Jean Reno che non ce la fa più a reggere il peso di Cruise ed il ratto che arriva ad insidiarlo...), ma è emozione facile e, soprattutto, andando a coronare un'operazione che tutto sommato si è dimostrata piuttosto semplice, perde gran parte del suo potenziale. In sostanza: l'accesso all'edificio è stato un gioco da ragazzi; i sistemi di allarme sono stati aggirati senza problemi eccessivi; le protezioni del cervello centrale sono capitolate al primo tentativo. Altro che missione impossibile! Bruciate così tutte le chances drammatiche della situazione, è inutile sperare di far tremare lo spettatore facendo correre lungo il viso di Cruise una pericolosa goccia di sudore! Gli sceneggiatori fanno parlare i personaggi di "impossibilità", ma non ideano le scene in cui essa si concretizzi, prenda forma. Ed è un errore in cui incappano anche lavorando sui personaggi: Ving Rhames e Jean Reno vengono presentati, a parole, come grandi professionisti dalle capacità uniche, il meglio sulla piazza. Di fatto, non gli viene concesso spazio per dimostrarlo, non gli si dà occasione di agire; quando agiscono, le loro operazioni vengono liquidate, ancora una volta, velocemente; ma, ancora più grave, vengono relegati in particine assolutamente minori - e non è corretto, avendogli costruito un ritratto così importante al momento del loro ingresso in scena (un'altra attesa tradita). (Più in generale, si ha l'impressione che Cruise, produttore, abbia voluto riempire eccessivamente la sua pellicola di stelle, dovendo quindi concedere spazio e tempo che non aveva.) Riepilogando: premesse per una spy-story che viene pasticciata nella sua concatenazione logica (poi risolta, senza troppa fantasia, con l'espediente del travestimento e della maschera, già visto due volte nell'arco del film); possibilità di spettacolarità e di scene d'azione, di picchi drammatici ed amozionali, sprecati per pochezza di costruzione e povertà di trovate; personaggi che vengono impostati ma non sfruttati appieno, se non nel caso di Cruise (che, immeritatamente, oscura tutti). Sono problemi di scrittura, non di regia: De Palma, dal canto suo, trovandosi tra le mani alcuni dei temi a lui cari (doppio, voyeurismo, panottismo...) propone la sua idea di cinema di sguardi, creando le consuete geometrie di soggettive, i loop visivi, i cortocircuiti voyeuristici, ridelineando attraverso essi le geografie di spazi e le mappe dei soggetti; lavorando sul fuoricampo; dando corpo ad un cinema che confina quasi con il metacinema, aldilà dei citazionismi (la sequenza del ricevimento a Praga è esemplare per tutti questi aspetti). Tuttavia, la sceneggiatura non può non aver condizionato De Palma: negandogli gli elementi per costruire la suspense (il suo pane), essendo priva di una forte struttura drammatica, e proponendogli personaggi unidimensionali, quasi fumettistici, lo ha allontanato dal dominio che gli è proprio, costringendolo piuttosto nei limiti di uno spettacolarismo fine a sé stesso, fatto di acquari infranti e migliaia di litri d'acqua che si riversano per strada, e di esplosioni di elicotteri nel tunnel della Manica... (I continui litigi sul set tra Cruise, anche produttore, e De Palma, di cui si è avuto notizia per tutto l'arco della lavorazione e di cui i due non fanno mistero, non credo abbiano radici in antipatie reciproche!) Non imputerei, inoltre, il parziale fallimento di "Mission: Impossible" al fatto che De Palma si trovava distante dal genere "thriller psicologico" che lo ha reso famoso ed in cui è un maestro; il regista ha dimostrato ampiamente di saper lavorare su buone sceneggiature, anche distanti dal suo standard e dai suoi modelli hitchcockiani, in pellicole quali "Gli Intoccabili" ed il recente "Carlito's Way". De Palma ha fatto un buon lavoro, nei limiti del possibile: "Mission: Impossible" non pecca in materia di regia, ma di sceneggiatura.