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M.D.C. - Maschera di cera Anno: 1996 Regista: Sergio Stivaletti; Autore Recensione: l.a. Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 18-03-1998
M.D.C. Maschera di Cera, di Sergio Stivaletti.
Con Robert Hossein, Romina Mondello, Riccardo Serventi Longhi.
Italia, 1996.
Terzo adattamento cinematografico del racconto "Il Museo delle
Cere" di Gaston Leroux (cfr. filmografia a lato), "Maschera di
Cera" doveva essere diretto dallo scomparso Lucio Fulci (a cui il
film è dedicato), il quale ne curò la sceneggiatura. Il
progetto è passato a Dario Argento che ne ha affidato la regia
al nostrano mago degli effetti speciali Sergio Stivaletti, che con
questo lavoro esordisce dietro la macchina da presa. Per narrare la
vicenda del folle scienziato-alchimista sfigurato che, nella ricerca
ossessiva della perfezione, crea le proprie statue di cera con corpi
umani veri, Stivaletti conduce un'operazione in sapore di nostalgia:
un'incursione nei territori dell'horror più ingenuo,
rifacendosi al cinema di serie-B in generale, e ponendosi come
precise coordinate di riferimento Mario Bava e le produzioni della
Hammer. In filologico rispetto del filone sopra citato e della fonte
letteraria, l'ambientazione è inizio secolo, con discreta cura
della ricostruzione scenografica e dei costumi. Altrettanto
rispettosa dell'iconografia è la ri-costruzione del
gabinetto-laboratorio del mad-doctor: pentoloni ribollenti di
schiume, alambicchi che distillano sostanze colorate poco
rassicuranti, ampolle contenenti frattaglie cervelli feti, siringhe
gigantesche, cannelli-arterie collegati ad arti meccanici, strumenti
chirurgici inquietantemente simili ad attrezzi da maniscalco,
accumulatori e generatori di corrente elettrica, passaggi segreti e
labirinti catacombali popolati di pantegane ben pasciute e scheletri
su cui le stesse hanno banchettato abbondantemente... Rispettata
è anche la formula che mescola orrore ed erotismo (le tette
della Mondello, nell'arco del film, appaiono con frequenza crescente,
direttamente proporzionale alle sue prove di incapacità
recitativa): come da tradizione, per contestualizzare l'abbondanza di
donnine seminude dai corpetti che comprimono, ingigantendoli, i seni,
uno degli spazi principali attorno a cui ruota il racconto è
un bordello... il che permette anche di modulare il tema della
perversione fornendo al sadismo da laboratorio (imbragature
metalliche, tette al vento, slippini in cuoio...) una controparte di
masochismo da boudoir (sottomissioni a base di frustini e bondage...:
e voyeurismo da buco-nel-quadro-e-pupilla-dilatata). A livello
tematico gli elementi portanti sono quelli del racconto fantastico
più tradizionale: il Doppio; il folle che ambisce ad elevarsi
a creatore inseguendo un punto di contatto tra arte e scienza; il
delirio di onnipotenza a cui portano i successi della ricerca
scientifica; la scienza (in particolare la medicina) che diventa
strumento negativo; l'automa come replica perfetta di un originale
umano, perversa ed incontrollabile intersezione di biologia e
meccanica in nome di una natura altra, parallela, artificiale,
destinata a rivoltarsi contro il proprio creatore (replicanti
ante-litteram, onirici preamboli della nuova carne
contemporanea, albori del cyber - nel finale, l'automa spogliato
delle fattezze umane rivela una struttura meccanica identica a quella
di Terminator)... Parimenti a livello formale Stivaletti si
rifà ai procedimenti classici: lavoro sulla suspense
attraverso soggettive e false-soggettive, sfruttamento insistito del
fuori-campo, ombre espressioniste, ricerca della sorpresa con
improvvisi ingressi in-quadro sottolineati dalla colonna sonora... In
particolare, molto tradizionalmente, il mistero è costruito su
una strategia di negazione della visione: costruzione di attesa
attraverso il controllo della visibilità dell'oggetto della
curiosità, svelamento progressivo delle fattezze del mostro
per stimolare una volontà morbosa di vedere l'orrido in tutta
la sua putrescenza, esibizione della deformata creatura
nell'apocalittico e fiammeggiante finale. "Maschera di Cera", proprio
per questa sua natura nostalgica e volontariamente naïve, non
può provocare brividi: superato un iniziale fastidio, sortisce
al limite l'effetto contrario, suscitando il riso. E se quest'ultimo
fosse frutto di una esplicita volontà degli autori si potrebbe
anche dire che si tratta di un film riuscito. Ma restano parecchie
perplessità al riguardo (ad esempio, la pessima recitazione
degli interpreti difficilmente sembra essere dovuta ad un preciso
studio, piuttosto ad una palese effettiva incapacità degli
attori)... Nel complesso troppa poca autoironia. Ai titoli di coda si
accompagnano le suddette riserve, e soprattutto un interrogativo:
prima di abbandonarsi alla malinconia cinefila e di tuffarsi a corpo
morto nel passato, non sarebbe forse opportuno dimostrare di vivere
un presente almeno vagamente proiettato verso il futuro?
(L'accostamento, inevitabile, tra il lavoro di Stivaletti e la
produzione thriller/horror nostrana contemporanea mette in evidenza
tutti i limiti del nostro presente anche in questo genere
cinematografico.)
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