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La Veuve de Saint-Pierre
Anno: 2000
Regista: Patrice Leconte;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 31-07-2000


La Veuve de Saint-Pierre
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Regia e sceneggiatura: Patrice Leconte –


Interpreti: Juliette Binoche (Madame La, moglie del capitano), Daniel Auteuil (il Capitano), Emir Kusturica (Neel August, il condannato), Michel Duchaussoy, Philippe Magnan – Francia,
2000, 112’. (FilmFour)

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Veuve significa vedova, ma in argot indicava la ghigliottina.

La ‘vedova’ del titolo è Juliette Binoche, inquadrata in vesti ottocentesche al fondo di un salone amplissimo e vuoto, l'atteggiamento vermeeriano, ripiegato sui propri pensieri, lascia immaginare una pena indicibile; è intenta ad osservare dalla finestra qualche evento che la coinvolge emotivamente. L'intero dramma si svolge tra questo primo avvicinamento alla sua figura in piedi ad un'estremità di tendaggi pesantissimi, compiuto lentamente dalla macchina da presa e il definitivo disvelamento del suo volto in quel frangente, con il conseguente lieve trasalimento legato all'epilogo, proposto al termine del film, concluso ad anello sulla prima immagine con il carrello indietro simmetrico all'avvicinamento iniziale alla storia. Una storia vera che ruota attorno alla ‘ghigliottina’ del titolo, destinata ad un Kusturica animalesco eppure pieno di charme, che interpreta il ruolo di un popolano il quale, ubriaco (stato che non ha richiesto enormi sforzi all'attore-regista per conferire naturalezza alla scena), una notte accoltella un uomo per dirimere la questione se sia: "Gros ou Gras".

Da parte del pubblico nell'incontro londinese successivo alla proiezione al Lumiere si è cercato un parallelo con Camus per quanto riguarda la questione della pena di morte (forse riferendosi a Lo Straniero), centrale da un punto di vista narrativo, ma probabilmente marginale negli intenti del regista, che confessa di considerare il cinema come fatto di caratteri e non di ideali ("Quando facevo questo film mi rendevo conto che trattava temi importanti, ma mentre giravo lo dimenticavo per occuparmi dei personaggi"): infatti spiccano le tre personalità sfaccettate con intensità dai protagonisti, che si ergono sulla massa non solo della folla, vociante e forcaiola dapprima e successivamente animata da facili e innocui sentimenti di solidarietà con il condannato poi recuperato dalle sollecite attenzioni di Madame La; esse si staccano anche dalle figure dei notabili che rappresentano gli interessi locali facendosi forza del lontano governo centrale (l'isola è un possedimento francese al largo delle coste canadesi), sfruttandone la ferocia burocratica: quello spessore morale dei tre diventa il messaggio politico, che smentisce il disinteresse sbandierato da Leconte a voce, ma sottolineato dalla profusione di dettagli che ritraggono e fissano volti del popolo come spettatori, mai come attori, e inquadrano il consesso di feroci notabili sempre privo di profondità, sovente schierato come in una stampa d'epoca, talvolta riunito in uffici bui nei quali mettere a punto sotterfugi. É una pletora di stacchi dal racconto ‘alto’ dei sentimenti che legano il destino dei tre protagonisti per marcare la distanza che intercorre tra i due coniugi animati da una tranquilla certezza del diritto e da un deciso rifiuto dei sistemi di gestione del potere in uso in quella estrema provincia: divisioni sessuali, tradizioni e abitudini vengono dal Capitano della guarnigione (Auteuil) "smerdate", come lamenta il vendicativo governatore, alla fine restauratore dello status quo. Ma come ribadisce più volte il capitano, anche nell'ora estrema: "Non possono nulla contro di noi", perché i tre vivono in una dimensione lontana dal pettegolezzo, abitano un mondo dove il diritto considera variabili umane come la possibilità della espiazione al di fuori della pena (o addirittura episodi di eroismo che riscattano l'unico sbaglio di una vita) e non solo leggi che nella loro generalità punitiva non possono considerare i singoli casi, né prevedere il recupero del reo al consesso civile. Dunque ciò che viene messo in discussione è il criterio fondato su leggi generiche: la base della società cosiddetta democratica, la dimostrazione che l'eguaglianza non si consegue nemmeno attraverso un fondamento che non tenga conto della componente umana. Attraverso la rimarcatura della distanza siderale tra le marce nella neve del condannato e della signora, sua garante – e non amante, nonostante si giochi a lungo tra il desiderio di redenzione e desiderio puro e semplice per la possanza di Neel, mai esplicitata e lasciata alla libera interpretazione dello spettatore, giocando sull'ambiguità di un rapporto anomalo – e i potenti che brigano per far eseguire la condanna per mero spirito vendicativo o per sancire il proprio potere (come un Bush Jr. qualsiasi) si compie il vero lavoro di Leconte.


Egli ha avuto anche il merito di adeguarsi al clima, variabilissimo e imprevedibile, sfruttando le nevicate e le improvvise brume, alternate all'accecante bagliore del sole sulla neve per ambientarvi i differenti momenti, soprattutto quelli iniziali, che precedono il delitto, i dettagli del lavoro dei pescatori e l'arrivo dei due fratelli naufraghi avvolti in una dominante azzurrina cupa, che sembra anticipare il destino, che nessuno dei due uomini cerca di evitare, scandito dalla campana che sbatacchia sulla nave a tutto schermo prima che Neel August (Kusturica) e suo fratello Olivier entrino nella bettola, accogliente sui caldi toni di giallo malaticcio.

Il motivo che nel trascorrere di un anno consente l'evoluzione del condannato da reo quasi lapidato a eroe è l'assenza del mezzo di morte sull'isola, e la fedeltà alla Repubblica si misura anche dal fatto che non si può adottare un sistema di assassinio alternativo: a questo proposito un altro degli innumerevoli dettagli che l'autore vuole farci rilevare è quello degli ingranaggi della nave che trasporta la ghigliottina, con intenzione si insiste sui denti, metafora dell'irrefutabile corso del destino: dato il presupposto non potevano comportarsi diversamente due uomini, l'uno con un senso di giustizia e umanità spiccata (viene raffrontato al contemporaneo Hugo e il suo rapporto con la moglie è totalmente paritario e insistentemente rivendicata l'autonomia della donna dal marito, ribadita dallo stesso Auteuil), l'altro con la convinzione di dover espiare una colpa di cui non sa capacitarsi: spesso lo vediamo recludersi lui stesso nella cella destinatagli, non approfitta della occasione di fuga organizzata da Pauline, anzi ritorna di sua iniziativa (il legame di fiducia non spiegato, ma aleggiante e indubitabile tra i due uomini: il carceriere e il carcerato godono di un rapporto degno del mistero della comunione di spiriti di Le Mari de la coiffeuse) e durante il processo non riesce nemmeno a ricostruire l'accaduto, tanto appare a lui stesso enorme, mentre gli riaffiora alla memoria la sequenza dell'omicidio interrotta dallo squarciarsi delle tenebre sulla luce boreale che ritarda la ricostruzione a favore del giudizio, poiché non è tanto la colpa ad essere centrale, quanto l'apparato giuridico, apparentemente corretto, ma deficitario dal punto di vista umano e della sua stessa funzione moderna inaugurata proprio con la Rivoluzione francese, che con l'illuminismo prevede il reintegro nella comunità del reo e non solo la semplice vendetta sociale sul colpevole. Tuttavia è la donna con la sua sensibilità a rendere possibile lo sviluppo della vicenda; ma ciò non avviene in modo didattico o per un particolare evento, bensì per una percezione che impone di opporsi a decisioni e modi di concepire le regole non più accettabili a partire dal singolo caso di Neel, ma che investono l'intero spirito del tempo; alla domanda diretta, fatta nel nitore della neve di un'unica parola proferita da Neel: "Perché?" Pauline risponde: "Gli uomini possono essere cattivi un giorno e il resto della loro vita no". Per questo lo spazio dedicato alla premessa risulta ridotto, e sbrigativo è il processo, ripreso con riferimenti pittorici secenteschi, volti e illuminazioni fiamminghi, si dipana con frequenti primi piani su visi attoniti, mentre i momenti di libertà del condannato sono caratterizzati da forti luci naturali e campi lunghi in cui la figura s'immerge in una natura romantica, che rende plausibile l'amore sublime che conduce il Capitano a rifiutare l'applicazione di regole avversate dal senso morale della amata moglie: "Ti amo perché tu sei tu".

Una sequenza studiata e montata a regola d'arte è quella in cui il calesse adibito al trasporto dei due fratelli condannati transita per le strade di Saint Pierre e gradualmente sale la violenza che dagli sguardi si trasferisce alle pietre: si tratta di una serie di inquadrature in movimento di pochissimi frames alternate a primi piani quasi subliminali sugli astanti, fino alla lapidazione che costa la vita al fratello di Neel. Efficacissimo e credibile nell'esposizione della giustizia sommaria decretata dall'opinione pubblica: gli sguardi obliqui, le traiettorie e i piani alternati, i volti duri, i musi ostili che si trasformano in sassi, per la precisione delle direzioni delle linee che segnano i repentini cambi di prospettiva fanno dubitare dell'assenza di uno storyboard, come rivendica il regista, che lo ritiene dannoso, poiché "il cinema è ritmo e lo storyboard è la sua negazione", e inutile, essendo lui stesso l'operatore che adotta frequentemente la camera a mano, soprattutto per documentare i moti dell'animo più significativi e che producono svolte al racconto; infatti proprio la ripresa libera segnala quali momenti l'autore ritiene siano quelli in cui il racconto opera una svolta che lo conduce al tragico epilogo ineluttabile, come se la macchina da presa accompagnasse il tentennamento dell'animo turbato.

Un po' troppo bozzettistica la figura del boia, che dimostra per contrasto quanto siano calibrati gli altri personaggi e quale china da romanzo d'appendice avrebbe potuto travolgere il testo se non fossero stati controllati i tre personaggi principali nonostante Kusturica gigioneggi nell'episodio del trasporto della sua ghigliottina (che nessuno voleva effettuare per impedire l'assassinio) e che il condannato aiuta ad innalzare.