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Il pranzo di Natale - La Bûche
Anno: 1999
Regista: Daniéle Thompson;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 14-12-2000


La Bûche

 

La Bûche


The Yule Log


Il pranzo di Natale

regia Danièle Thompson
sceneggiatura e dialoghi
Danièle e Christopher Thompson
fotografia
Robert Fraisse, Jean Harnois
montaggio
Isabelle Castro
suono
Jean Pierre Duret
musica originale
Michel Legrand
costumi
Paule Mangenot e Elisabeth Tavernier
interpreti
Sabine Azéma (Louba), Emmanuelle Béart (Sonia), Charlotte Gainbourg (Milla), Claude Rich (Stanislas), Françoise Fabian (Yvette), Christopher Thompson (Joseph), Jean Pierre Darroussin (Gilbert), Isabelle Carre (Annabelle), Helene Fillieres (Veronique)

distribuzione
Pathé


 

 

The Grinch mostra l'incubo di un paese dove è sempre natale (battendo gli auspici di Lucio Dalla, limitatosi vent'anni fa a tre volte), Thompson inizia il suo film costringendoci ad una indigestione di dolciumi, leziosità, buoni sentimenti formato regalo: una saga del consumismo.
L'aspetto più interessante è la grazia della tipica commedia francese nell'infilare una serie di racconti di natale ("Compleanno di un piccolo ebreo arrivista", stigmatizza Stanislas, l'ancora affascinante padre, ebreo dell’est, ovviamente violinista nella saga di caricate macchiette.), che fanno da tessuto connettivo del plot, evidenziato dal sistema linguistico usato, un parlato in macchina camuffato dal gioco di specchi, cifra della intera struttura; il pregio dell'operazione si nasconde nella ridda di caratteri e nell'intreccio di situazioni che rimescolano le relazioni e le idiosincrasie tra la "depressione ostile" e quella "gentile", due spiegazioni fittizie che cercano di dare un'interpretazione e un ordine apparente al caos delle passioni. La precisa combinazione delle vite rende meno meccanicistico l'espediente della confessione di ciascun personaggio, che è in realtà il ribaltamento di un racconto di natale vittoriano, in questi casi amarissimo, risalendo a perduti natali rievocati con rimpianto o al contrario simboleggiando ricordi spiacevoli rimasti di traverso a creare un nodo in gola, che interrompe momenti surreali anche comici; sentimenti mescolati in modo equilibrato, tutti sul filo di una memoria che più che una madeleine è una bûche.

Un'amarezza che si avvale del contrappunto di una comicità triste, già annunciata dal feretro che si muove nel prologo subito dopo i leziosi titoli che repertoriano tutto il peggio del kitsch natalizio, commentato dalle melodie più nauseanti, fino alla corona ferale, che può confondersi con l'ennesimo vischio fintantoché il movimento del furgone luttuoso rivela la cerimonia funebre sotto i cui auspici si organizza la mercificata giornata natalizia, sancendone la necrofilia: il significato finale della festa natalizia è compreso in quello squillo del cellulare seppellito con il defunto per decretare l'assenza di comunicazione, soffocata dalla frenesia senza senso, nonostante il potenziale fatico sviluppato in particolare da Sonia-Béart, la borghese insoddisfatta, ma attenta alle apparenze, che sopperisce con quantità di derrate alimentari spropositate alla vacuità della sua vita; e i cellulari si riducono una volta di più a status symbol privi di ragione. È solo una delle innumerevoli connotazioni di ambiguità dei singoli caratteri, in particolare delle ragazze: la garrula Sonia incarna il natale borghese – si può ancora dire? – e consumistico, ma nasconde una tristezza esistenziale per l'usura del suo rapporto con il marito infedele e la sua predisposizione a "conservare tutto"; ma anche Louba-Azéma ha una doppia vita, che la opprime, sempre per ragioni sentimentali che sono il lato oscuro della facciata sorridente di cantante e ballerina di canti tradizionali russi, dietro ai quali nascondere la gravidanza che perpetua il racconto di Joseph, il fratellastro ("Un figlio di nessuno è sempre un figlio"); Milla-Gainsbourg ha probabilmente anche lei zone d'ombra nella sua vita, mai spiegata nei dettagli. Dunque l'ambiguità e il dolore esistenziale che ne deriva, acuito dalle festività natalizie – momento catalizzante della ipocrisia, ma anche del rimorso degli uni, speculare al rancore degli altri, che è il vero sentimento accomunante i racconti di natale pronunciati rivolti verso di noi – percorrono il film, rincorrendosi fino alla battuta finale del figlio illegittimo: "Morirai colpevole come tutti". In questo modo si sancisce il ribaltamento del mieloso natale, ottenendo che le canzoni più classiche delle famiglie giubilanti sotto l'albero si trasformino in scherno sarcastico senza mutare di una singola nota; ogni situazione gode di questo lento ribaltamento: da tranquillizzante atmosfera di normalità a verminoso intrico di passioni inconfessabili, a nessuno se non alla mdp, perciò si riversa sul pubblico la completa conoscenza delle trame familiari; nessuno dei personaggi avrà alla fine del film il quadro completo che viene invece a noi presentato, facendo incastonare ogni tassello attraverso un complicato montaggio di rincorse dei protagonisti per tutta Parigi, richiamando le situazioni per correlati formali, improvvisi contrasti sonori, attraverso attacchi sul movimento. Una delle più sorprendenti rincorse da una sorella all'altra è la dissolvenza incrociata soltanto sonora che conduce dall'appartamento in vendita dove Louba ha appena scopato con l'agente immobiliare, nel quale è rientrata per una dimenticanza suonando il campanello e ne è uscita attraverso un sistema di frenetiche inquadrature di pochissimi secondi, che offrono l'intera gamma dei punti di vista uscendone nuovamente, lasciandoci nella certezza che il nuovo squillo di campanello prosegua la situazione... invece ci troviamo a seguire l'ingresso di Milla a casa del padre. Questa frenesia è acuita dalle sospensioni operate dai racconti dei natali trascorsi, isole nel turbinio di sentimenti.


In realtà soltanto i due genitori separati espletano a partire da un sentimento di rimpianto il dovere del monologo confessionale, senza pretesti di dialoghi, rivolgendosi direttamente agli spettatori in platea, mentre i figli, seguiti adottando sempre le medesime fasi di ripresa: in piano sequenza con lento restringimento del primo piano attraverso un movimento impercettibile e una zoomata, introducono il loro racconto di natale nel flusso di relazioni che intrecciano. Probabilmente ciò avviene perché i ricordi dei vecchi sopraffanno i loro proprietari e scaturiscono dalla posizione di stasi che assume improvvisamente la situazione, senza nascere dal bisogno di spiegare il presente: la madre Yvette-Fabian è la prima a sgravarsi la coscienza (ma l'espediente non riuscirà a farla tornare immacolata, visto che rovescerà tutte le sue infedeltà giocosamente in un bistrot, cogliendo l’occasione offertale da Stanislas e allo stesso suo modo nessuno troverà redenzione), sola in auto, comincia come tra sé a parlare, ma poi si rivolge direttamente a noi come se la mdp si accorgesse di lei nel momento in cui lei ha bisogno di parlare con qualcuno e quindi impone l'affezione della propria immagine all’obiettivo, per sgravarsi di quel natale di 25 anni prima in cui aveva deciso di lasciare Stanislas per l'altro violinista, ai funerali del quale abbiamo assistito all'inizio: un cliché che si ripeterà per tutte le "confessioni" prevede una lenta e leggera zoomata nel momento che segna la svolta dei singoli racconti, come a voler richiamare la nostra attenzione, costringendoci col movimento a realizzare l'aumentata tensione del racconto proprio quando diventa non più soffocabile quella attesa trepidante della fatale telefonata o struggente l'evidenza della neve della terra natia per la storia rivissuta da Stanislas subito dopo, e il cui effetto di separazione – altro elemento comune in ogni situazione evocata – sarà subito catalogato come torto esercitato nei confronti di una persona amata. Dunque anche l'intrecciarsi di passioni impone la scelta tra un dolore arrecato agli uni per inseguire piaceri inconciliabili. Queste confessioni si impongono nei momenti in cui i protagonisti sono più deboli ed esposti, uno stato d'animo ben espresso dagli sguardi lanciati da Béart sotto l'albero natalizio mentre beve nervosamente il latte del figlio, corrispondenti a quelli catatonici di Azéma nel cesso dopo il test di gravidanza o persi nella solitudine di Gainsbourg. Si tratta di caratterizzazioni precise di personaggi disegnati in modo impeccabile, in quanto pur dovendo incarnare caricature di tipologie francesi, riuscendo perfettametne in questa operazione generalizzante, per una sceneggiatura aperta a episodi originali e anche grazie alla professionalità degli attori, ciascuno ha guizzi tali da rendere unici i soggetti.

Le tre ragazze quando si aprono alla macchina da presa lo fanno in realtà a partire da una rivelazione a qualcuno, presente nella diegesi: Sonia comincia a parlare a Louba dell'antico segreto del fratello sconosciuto scoperto andando a vedere Jules et Jim (film di in-fedeltà vissute con gioia?! Al contrario di questi francesi di fine millennio, che non sanno replicare naturalmente la freschezza dell'adulterio che dimostrano di officiare i due attempati genitori, coetanei di Jules et Jim), Milla al fratellastro – che probabilmente non è tale per lei, ma non sarebbe nemmeno consapevole della possibilità che lo potesse essere: tuttavia è proprio Mila a pronunciare la battuta altamente ambigua, che chiude il film alludendo a una possibile fratellanza tra Giulietta e Romeo, testimoniando un privilegio per la sua figura nella scelta dei dialoghi – Louba allo specchio parla di quando da bambina spiava il padre, quindi di nuovo si rivolge ad una figura presente nella sua realtà filmica che solo in seguito verrà sostituito da noi. L'eccesso di personaggi viene colmato con l'introduzione del siparietto che allarga la partecipazione di Joseph, non solo figlio illegittimo, ma padre separato di una bambina, che apre un siparietto di burrascosa relazione con la moglie nevrotica e in fuga dal nuovo compagno: una situazione di cui si poteva fare a meno, ma che nelle intenzioni degli autori serviva probabilmente per rendere esponenziale e capillare il ritratto della società francese contemporanea: la pochade natalizia al servizio della denuncia degli innumerevoli problemi di relazioni familiari che non si limitano alla famiglia osservata e pedinata, ma si estende a tutti.

Il pranzo sarà un'occasione per una separazione fisica di tutti i convitati, preludendo però alla creazione di gruppi insospettabilmente riuniti in una occasione festosa: però la canzone è nuovamente ironica dopo le rivelazioni che Yvette ha fatto a Stanislas in relazione alle sue infinite infedeltà: "Yiddish mama".