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Il coraggioso - The brave Anno: 1997 Regista: Johnny Depp; Autore Recensione: Adriano Boano Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 19-01-1998
"Il coraggio è
affrontare la morte con sublime angoscia". Con questo
Brando dall'interno di un magazzino infernale comincia a
assegnare un senso alle immagini di periferia degradata, che
per un quarto d'ora è attraversata da Johnny Depp nel
silenzio solcato solo dalla musica arrangiata da Iggy Pop a
commento di un universo-discarica su cui si aggirano rottami
umani. É un superamento della lenta consapevolezza
della propria morte inscenata da Jarmush in Dead Man, ma
conduce allo stesso modo all'incontro paritario con la
morte, sempre legato ad una pulsione morale
Assistiamo non ad una denuncia sociale, ma ad una poetica
metafora della condizone umana (personaggi surreali come il
pazzo perforatore inserito in una ruota da criceti,
condizioni allucinate come il ruolo cammeo di Iggy Pop e
l'umanità depravata del bar), illuminata da dominanti
rossastre, che deve la sua originalità alla carica
emotiva: si passa da gesti di intenso affetto (l'abbraccio
con il figlio, dopo che ha dimostrato lo stesso coraggio
dignitoso) ad atti di deliberata violenza beluina (la morte
di Luis), nel breve volgere di una sequenza che accumula una
serie di situazioni estenuanti, che prostrano lo spettatore
attraverso lente carrellate sul viso e sul corpo sempre
più segnato da una via crucis, che contiene molti
rimandi cristologici (Depp trasporta una croce fatta di
secchi d'acqua, si immerge nell'acqua battesimale, offre il
suo corpo), ma purifica esaltando la figura dell'indiano,
perseguitato dal suo destino attraverso l'incombente
presenza dell'inquietante figura disegnata sui muri di
lamiera.
E la catarsi preparatoria del sacrificio (il protagonista
è un bodhisatva moderno) passa attraverso il dolore,
"come al momento della nascita", dice il committente,
descrivendo il volto di una partoriente contratto nella
sofferenza del travaglio. Un dolore che sembra affascinare
la stessa vittima, disorientata nell'attesa del sacrificio;
una tensione resa parossistica dalla sospensione di una
settimana, che dà luogo all'intima preparazione del
giovane alla tortura (non casualmente annunciata in famiglia
come un lavoro), dapprima in modo raffazzonato e poi sempre
più consapevole, fino alla scena d'amore con la
moglie in un tramonto infuocato, attennuato da una sorta di
patina, come un'ombra che ammanta di dolcezza struggente le
rocce contorte ed il deserto, ricettacolo di oggetti privi
di alcuna forma seduttiva, di baracche scomposte e di corpi
disfatti (forse usciti da un sogno di Brueghel,
un'accozzaglia che rende attraente la prospettiva di
riscattarsi attraverso una morte dignitosa, nonostante tutto
la gente di Morgantown vi si divertiva, riusciva ad
inscenare feste e Depp osservando il barrio con rimpianto
dall'alto sembra volersi imprimere ogni dettaglio.
Il personaggio incarnato da Brando non è un
semplice sadico, ma ricerca persone che attraverso la loro
sofferenza riescano ad infondergli il coraggio di affrontare
la morte: non è tanto il dispensatore del dolore,
quanto lo speranzoso recettore di esempi di dignità e
onestà, in grado di trasmettergli la motivazione per
riuscire ad accettare la morte, conferendole un senso
superiore alla sua semplice ineluttabilità.
Tutto è compreso tra la frase pronunciata da
Brando, che apre questo tributo alla intensità della
sofferenza comunicata dal film, e quella da lui dolentemente
pronunciata subito dopo: "Il dono che ti faccio è
il coraggio di guardare in faccia la morte". Una
dignità che mi è capitato di poter ammirare
solo in una malata terminale enormemente
coraggiosa.
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