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I vesuviani Anno: 1997 Regista: Stefano Incerti; Antonio Capuano; Antonietta De Lillo; Pappi Corsicato; Mario Martone; Autore Recensione: Marcello Testi Provenienza: Italia; Data inserimento nel database: 06-11-1997
Partiti con la parola d'ordine "Il più brutto del
mondo" alcuni strani critici che (si) dibattono da poco
attraverso canali telematici e hanno scelto quasi per caso o
un colpo di vento di puntare l'occhio sul cinema italiano
"contemporaneo" (qui e adesso - a rischio di rendere
effimera qualsiasi presa di posizione); questi critici, si
diceva, hanno finalmente trovato pane per i loro denti
stanchi di masticare pappette precotte (anche se pare
particolarmente gustosa l'ultima indigesta scatoletta di
Baldoni), quando si
è sollevato il caso di un film che pareva confermare
gli assunti della discussione: la critica (quasi) unanime
aveva appena visto il tipico-film-italiano, nato da belle
speranze e tante buone intenzioni, ma naufragato nel
tentativo malriuscito di costruire un discorso a più
voci, di parlare finalmente del presente dopo anni passati a
fare i conti con gli anni 60 e con la loro straordinaria
produzione di commedie.
Andiamo, allora, e scopriamo quanto brutti o "mostri" o,
peggio, "normali" sappiamo essere e mostrarci...
Immaginate la sorpresa, quando scopriamo che l'incipit
è quanto di meno normale possiamo trovare, non solo
in Italia, al giorno d'oggi (e fa il paio, per contrappunto
di luci e colori, con la Totentanz che apre
Tano da morire): in mezzo
a fumi colorati, in un'atmosfera sospesa tra il fiabesco
hollywoodiano e le sue parodie porno, viene narrato del
proliferare della Stirpe di Iana, popolarizzazione
del culto di Diana, evolutosi a sorellanza femminista di
scuola Bud Spencer o Bruce Lee. Il resto dell'episodio viene
da sé, si sviluppa liberamente con la stessa
leggerezza che le "ianare" dimostrano nella loro rissa
volante, strizzando l'occhio e lasciandosi indietro di
kilometri le Ninja Turtles (fatene dei pupazzetti, se
potete!); il tutto su sfondi acidi e in una geografia
napoletana dello spiazzo e dello spaesamento che anche negli
altri episodi impone la scelta di punti di vista marginali e
privilegiati sui non-luoghi metropolitani.
Non si sono ancora dissolti i fumi, che un'altra sorpresa si
porge ai nostri occhi, con la voce e il corpo di Enzo
Moscato, protagonista di una storia rievocata
nostalgicamente all'interno di un cinema porno: la storia di
un "travestito" che offre a Moscato l'occasione di una
superba prova e alla De Lillo l'opportunità di usare
una mano lieve e di sfoggiare ottime capacità di
scrittura, anche dei dialoghi; il finale fiabesco inganna
(è lì per questo!), ma subito si ricollega
alle "mascherate" di Maruzzella, lontano mille miglia dal
riconciliarsi e piuttosto dirottato verso una vita in cui
possa riconquistare quei piaceri che generosamente elargiva,
e misteriosamente, nel retro del cinema.
L'episodio di Capuano si tuffa... a pesce nel fiabesco,
offrendo omaggi a maestri come Totò e Pasolini, ma
forse anche alle colorate fiabe hollywoodiane di metà
secolo. Anche qui l'autore beneficia appieno della
brevità della distanza e può sfoggiare
leggerezza poetica, velocità di pensiero e allo
stesso tempo profondità passionale, come nell'intenso
incontro fra il protagonista (un abitante abusivo e recidivo
delle aree bradisismiche di Pozzuoli) e un ladruncolo
decisamente "pasoliniano", oppure nel travolgente
inseguimento del "principe", una figura burattinesca di
moro, che anche se non si muovesse bene (come in effetti fa)
avrebbe ugualmente una grande forza evocativa.
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