ÁGUA E SAL [Acqua e sale / Water and Salt]
Teresa Villaverde
Cinema del presente – Venezia 58
SOGGETTO E SCENEGGIATURA Teresa Villaverde
FOTOGRAFIA Emmanuel Machuel
SCENOGRAFIA Ana Louro
MONTAGGIO Andrée Davanture
COSTUMI Rita Lopes Alves
INTERPRETI Galatea Ranzi (Ana), Joaquim de Almeida (il marito), Alexandre Pinto (Alexandre), Miguel Borges (lo straniero)
Portogallo/Italia, 2001
35 mm (1:1,85), colore, 117’
Come tutti sapranno, tranne me che me lo sono dovuto far raccontare, la Villaverde era la moglie di Jon Jost e la storia che questo film mima nel mare, anche se lei lo nega, è la sua vita; e la figlioletta leziosa è la vera figlia sua e di Jost che l’ha pure citata per sfruttamento di minorenne. Fine del pettegolezzo.
Un altro film di scrittura e fattura femminile, anche se un po’ autocelebrativo; tutto ruota intorno alla protagonista, ogni uomo che passa di lì ne resta affascinato, sia esso un rozzo marinaio o un lieve intellettuale. Si ha l’impressione di vedere il privato mostrato in film, e magari non a tutti interessa.
Ana, una Galatea Ranzi piuttosto attonita, è piuttosto affascinante e il paesino in cui si rinchiude per lavorare (Cabanas, paesino portoghese sull’oceano freddo e spumoso)è piuttosto noioso; Ana è anche piuttosto alcolista, e non si capisce se è triste perché alcolista o alcolista perché triste. In effetti sta cercando di finire un libro di fotografie sullo sguardo prigioniero, e non riuscendoci beve, beve e beve. Per noia e perché riconosce sguardi prigionieri tra i vivi che la circondano, si immischia in una trama di paese, un giovane cerca di vedere la sua fidanzata ma la famiglia di lei glielo impedisce. C’entrano anche un aitante marinaio, che naturalmente resta affascinato dalla bella Galatea, e un bambino saggissimo che gira in barca da solo e registra informazioni sulla famiglia che rinchiude la giovane su un video. Alla fine si scoprirà un incesto e qualcuno farà sparire qualcun altro. Ma più che l’intrigo giallo-morboso il film si divide in ragione e sentimento: Ana in un letto pieno di libri e vuoto di uomini che non sa come e se proseguire il suo lavoro, Ana che si staglia sulla proiezione delle sue foto e che recita lettere sull’impossibilità di vedere lo sguardo; ma insieme Ana che scaccia il marito ancora innamorato, Ana che fa del sesso sulla sabbia col marinaio selvaggio, Ana e il ritorno di un vecchio amante (quello di lontano), affascinante e dotto.
Certo una film autolodevole non lo si nega a nessuno, però è un po’ poco. Belli comunque gli oceani. E veritiera la solitudine dello studioso che cerca gli altri o lavora per loro quando dovrebbe invece restare in solitudine (Ana chiama la sua migliore amica, una Medeiros sprecata, per una rimpatriata alcolica), vivendo quell’ansia per la scrittura di qualcosa a cui tieni. Questa donna assoluta e insoddisfatta, piena di debolezze ma al contempo decisa e passionale (e secondo voi la regista non sta mostrando l’immagine che ha di sé?), vive l’ansia del non poter trovare tutto in una sola soluzione e allora moltiplica gli uomini e non riesce a terminare il suo lavoro. Ana che vuole fermare il tempo resta cristallizzata in questo tempo marino, come in una vacanza infinita dove puoi permetterti di essere indeciso e inconcludente, tanto non è la vita vera. Alla fine la quiete è tornata ma sembra più opprimente dell’insoddisfazione. Chissà se con il film, che sostituisce l’analisi psicoanalitica, la Villaverde si è liberata dei suoi fantasmi.