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Haunting Presenze
Anno: 1999
Regista: Jan DeBont;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 27-10-1999


Haunting Presenze

Haunting Presenze

Regia: Jan De Bont

Sceneggiatura: David Self dal romanzo “The haunting of Hill House” di Shirley Jackson

Fotografia: Karl Walter Lindenlaub

Produzione: Susan Arnold, Marty P.Ewing, Donna Roth, Colin Wilson

Interpreti: Liam Neeson, Catherine Zeta-Jones, Lili Taylor, Owen Wilson

Origine: U.S.A., 1999

Durata: 112’

 

Le uniche presenze che garantiranno ad Haunting buoni incassi sono quelle di tecnici esperti di effetti speciali digitali, lo scenografo premio Oscar Eugenio Zanetti, organizzatore del decor metà gotico, metà barocco di Hill House.

La novella di Shirley Jackson “The haunting of Hill House” era già stata portata sullo schermo da Robert Wise nel 1963. I suoi invasati, come recitava il titolo italiano, erano di gran lunga più ambigui e spaventosi dei personaggi attuali e la casa, con i suoi pochi effetti speciali, era molto più inquietante.

Jan De Bont, regista dei due Speed e di Twister, è un esperto di sintesi. E queste ultime sono pericolose nei film di paura, perché la paura è un sentimento strano. Ha bisogno di alimentarsi, di crescere sotto l’epidermide, quasi inconsciamente, per deflagrare, irrompere senza possibiltà di riparo e rassicurazioni.

La versione di De Bont è invece molto rassicurante. La prima ragione è che il film accoglie la dimensione misteriosa, ma la sviluppa lontano dalle psicologie dei personaggi protagonisti. Il dottor Marrow (Liam Neeson), Theo (Catherine Zeta-Jones) e Luke (Owen Wilson) appaiono freddi e il loro grado di coinvolgimento alla vicenda è vicino allo zero. D’altra parte De Bont segue con la cinepresa le performance della casa-organismo del suo crudele proprietario, il cinico industriale tessile Hugh Crain, assassino di piccoli bambini. La casa ha un’anima nera che si materializza nelle forme mostruose delle statue gigantesche o dei bassorilievi scolpiti nelle porte maestose, in agguato nell’oscurità dei corridoi, nell’antro spaventoso di enormi camini. Le deformazioni dei tetti e delle porte, di ogni oggetto presente nella casa ricorda tanto le visioni di Cronenberg-Burroughs, ma senza l’angoscia terribile delle metamorfosi di oggetti inanimati in corpi di carne e sangue.

Se dunque il decor funziona, il merito è ascrivibile soltanto alle caratteristiche architettoniche del castello, la struttura narrativa è davvero risibile. De Bont opera scellerate ellissi che diluiscono la tensione, l’annullano proprio quando si sta seguendo la via giusta per il climax. Evidentemente l’unica sensibilità del regista riguarda le sequenze di pura azione, in cui il mostro si avventa sulle vittime, provocando veri tornado che distruggono tutto al loro passaggio. Non essendo uno slasher movie, né un semplice horror, non si vedono né sangue, né assassini, De Bont identifica con precisione il male, ne fa una forza bruta prepotente, da soggiogare proprio come un ciclone. Il soprannaturale è un fatto conosciuto. Ci sono il paradiso e l’inferno, e, naturalmente, il purgatorio dove, insieme ai poveri bambini assassinati, soggiorna il film di De Bont in attesa di redenzione.