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Giorno per giorno - Yom Yom
Anno: 1998
Regista: Amos Gitai;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Israele;
Data inserimento nel database: 29-07-1999


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Giorno per giorno - Yom Yom
Di Amos Gitai
Con Yussuf Abu-Warda, Natali Atiah, Moshe Ivgi, Dalit Kahan, Giuliano Mar, Hanna Meron, Karen Mor

Lui si sta separando, ha un'amante che se la fa anche col suo migliore amico, ma ovviamente a sua insaputa. Ed ha un sacco di problemi con i genitori.
Sembrerebbe il plot del solito film intimista italiano stile "due camere e cucina", (cui sembrano onn riuscire a sottrarsi neanche belle pellicole come "Fuori dal mondo" di Piccioni), invece si tratta della penultima opera di Amos Gitai, ennesimo esempio delle incomprensibili (e colpevoli) scelte della distribuzione italiana, capace di sprecare nel periodo estivo ottimi film, magari traducendoli in modo assurdo (e passi per il "Giorno per giorno" di "Yom Yom" che in fondo ne è la traduzione letterale: che dire dell'ultimo film di Araki, "Nowhere", inspiegabilmente diventato "Ecstasy Generation"?), negandogli quella visibilità di cui godrebbero in altri periodi dell'anno.

"Yom Yom", seppur privo della vis polemica politico-sociale che caratterizzerà il successivo "Kadosh" (anche se fino ad un certo punto, visto che i genitori di Moshe, il protagonista, sono una ebrea ed un arabo, ed è - probabilmente non a caso - la coppia che funziona meglio, nel film), è un gran bel film dove in realtà non succede assolutamente nulla: solo la vita quotidiana ad Haifa, Israele, che scorre uguale "giorno dopo giorno", senza che nulla cambi, neanche di fronte agli avvenimenti improvvisi, perché anche quelli fanno parte del normale e banale flusso della vita. La parola chiave di questo film è "pigrizia", "indolenza", e il regista non fa nulla per nasconderlo, anzi ce lo dichiara dall'inizio, in una lunga scena a camera fissa dove una donna (che svolge pigramente il suo sempre uguale lavoro) cerca di poggiare un foulard su un ripiano e di accendersi una sigaretta. Lo fa per decine di volte, annoiata, quasi senza accorgersene. E la camera fissa, che stacca con difficoltà dal volto dei personaggi anche nelle scene di dialogo dove ci si aspetterebbe un ovvio campo-controcampo, mentre la macchina indugia sul volto del personaggio scelto per primo anche quando ormai è l'altro a parlare, si accompagna ad una fotografia calda, dove dominano i colori del giallo e del rosso, anche nei vestiti dei personaggi.

Pigramente, il film si avvia anche alla sua conclusione, resa da un bellissimo piano sequenza, dove Moshe si incammina lungo la via... della sua strada sempre uguale. Significativamente è il crepuscolo: un giorno, uno dei tanti, è appena finito. Tanto, domani è... lo stesso giorno.