ENCOUNTER IN THE
THIRD DIMENSION
IMAX Cinema
http://www.bfi.org.uk/imax
Non ha potuto fare a meno di andare al S.Luís a
vedere gli Stereoscopici in tre dimensioni, s’è portato a casa, per ricordo,
gli occhiali di celluloide che bisogna usare, verdi da una parte, rossi
dall’altra, questi occhiali sono lo strumento poetico, per vedere certe cose
non bastano semplicemente gli occhi.
(José Saramago, L’anno
della morte di Ricardo Reis, Torino, Einaudi, 1996, p.311)
Essenziale è la cornice e il
British Film Institute in questo si è applicato strenuamente: una sala
iperaccessoriata, atmosfera da antro delle meraviglie e uno schermo altissimo e
molto luminoso in cui perdersi, che risulta però al servizio della sua
negazione. Infatti l'assunto che immediatamente dopo la prima spettacolare
animazione viene ribadito è che ci si libera delle costrizioni della
bidimensionalità per tuffarsi in una forma di spettacolo più coinvolgente.
Un assaggio viene offerto dai titoli di testa che
sottolineano dapprima le fonti sonore, palesando l'atmosfera avvolgente e
illusionistica: appaiono le immagini di alcuni altoparlanti dislocati per ogni
dove nella sala e che dovrebbero denunciare la provenienza delle innumerevoli
fonti sonore, accentuando l'effetto d’immersione che poi diventa anche visivo,
poiché in qualunque poltroncina – comodissime – ci si trovi, sembra di essere
il fulcro su cui puntano tutti gli elementi che provengono dal mondo incantato
in cui si viene inseriti. A tal punto risulta immediato il riferimento all'Arrivo
del treno a La Ciotat e al panico degli spettatori di un secolo fa che ci
viene riproposto durante il film come citazione dotta e replica dello stesso
spavento con un treno iperrealistico che investe il pubblico.
L'inizio cartoonistico vale il corto che preludeva
all’avventura di Roger Rabbit: divertente, e la condizione di totale animazione
senza riprese dal vero accentua le caratteristiche, in primis quella della
vocazione a proiettarsi verso lo spettatore, inglobandolo all'interno
dell'immagine. Di questo si tratta: un parco di divertimenti, preso a modello
per permettere di cogliere quanto grande sia la percezione non solo visiva, ma
tattile di questa tecnica di riproduzione della realtà. Potrebbe diventare
oggetto per una nuova puntata della meditazione filosofica sul soggetto, in
questo caso la sua fenomenologia deviata nella sua funzione di percettore di
realtà, nell’epoca della riproducibilità dello spazio, che risulta sostituito
da quello artificiale: una collettiva esperienza simultanea della realtà
virtuale.
Quello è l'effetto più adottato: proiettare una
scheggia, un frammento o un blocco intero dal centro dell'azione, e dunque
dall'interno più intimo della prospettiva rinascimentale (altro riferimento
citato e animato), verso l'esterno con un movimento centrifugo che ci pone
sulla traiettoria dell’oggetto espulso, essendo quel mondo creato dal nostro
punto di vista; è dunque il risultato di ciascuna inferenza che ognuno di noi
fa interagendo con le immagini che appaiono non più proiettate da un punto
esterno al mondo, ma appunto provenienti dal nostro interno. Si diventa una
monade che ha visioni comuni con altre monadi, caricate sullo stesso vagone
delle montagne russe.
Sì, perché – come
spesso avviene nel caso delle innovazioni – si tenta di illustrarle
saccheggiando il mondo dei divertimenti: è avvenuto con i pionieri del cinema,
ma ancora prima con il precinema e le lanterne magiche. Quell'immaginario è il
riferimento obbligatorio di questo film, che ha l'esplicito intento di
illustrare un mondo artificiale, di fantasia, ma iperreale e quindi trova naturale
ambientare la semplice vicenda in un laboratorio ricavato dai B-movies SF degli
Anni 50 – proprio perché quello è il periodo di massimo fulgore dei film da
vedersi con gli occhialini –, o piuttosto con qualche eco da Frankenstein, dove
uno scienziato si produce in un excursus sulla storia del 3D a partire da
pitture rupestri e Rinascimento, corredando con spezzoni le allusioni ai film o
la spiegazione della tecnica utilizzata a cominciare dall'arcaica doppia stampa
con dominanti rosse e verdi per i film in b/n fino alle attuali sofisticate
stampe multicromatiche. Lo scienziato, come in molti impianti narrativi
disneyani ha un assistente, che è un robot, al quale vengono affidate mansioni
di accompagnatore e sperimentatore: attraverso i suoi circuiti vediamo il mondo
racchiuso nel simulatore, una specie di toboga che si inerpica e s'avventa
dentro a paesaggi incredibili, sperimentando il percorso inverso a quello dei
frammenti scagliati contro lo spettatore a dimostrare che si può ricreare
qualunque effetto ed in effetti dentro il simulatore sono concentrate tutte le
caratteristiche innovative della visione in 3D. Particolarmente suggestiva è
l'immersione in acqua che riproduce completamente l'effetto liquido, come anche
la mantide metallica – la sua struttura è costruita con la tecnica inaugurata
da Abyss e Terminator2 (un’ulteriore raffinatezza per il piacere
dell’occhio) – che va in frantumi dopo averci minacciato con un aculeo a tal
punto realistico che si prova la sensazione di averlo ormai fin dentro il
cervello (un effetto che la punta acuminata incrementa, poiché le sue ridotte
dimensioni impediscono di avere la certezza della profondità e quindi potrebbe
essere già pericolosamente dentro l'occhio o trovarsi ben distante da esso).
Gli ambienti sono innumerevoli, manca l'ispirazione per raccontare una storia
coinvolgente al pari delle immagini, inanellate dal trait union posticcio del
laboratorio avveniristico immerso nei canoni filologici del passato.
A questo proposito cade a pennello il riferimento a Metropolis:
da un’apparecchiatura che produce energia si va componendo più volte l’immagine
di una donna che fuoriesce da anelli di elettricità, come nel film di Fritz
Lang, la differenza è che una volta acquisite fattezze umane, prende a cantare
discendendo una scala in atteggiamento provocante, finché non si dissolve in
mille frammenti di illusione, mantenendo in questo la coerenza con il messaggio
originale del capolavoro espressionista.
Si diceva all'inizio che lo schermo è il centro
dell'attenzione poiché è ciò che sembra sparire ed infatti l'ambiente si
presenta dapprima come attraverso una cortina che pare appannare la profondità
del laboratorio comprimendolo nelle due dimensioni del sipario; poi svanisce a
rivelare quale differenza c'è tra le due visioni. E viene la curiosità di
scoprire cosa se ne potrebbe ottenere affidando questa tecnica a qualche
manipolatore delle emozioni forti come Wes Craven.