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Donne in topless che parlano della loro vita
Anno: 1997
Regista: Harry Sinclair;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Nuova Zelanda;
Data inserimento nel database: 12-08-1998


Harry Sinclair

Topless women talk about their Life

Regia e sceneggiatura: Harry Sinclair
Fotografia: Dale McCready
Montaggio: Cushla Dillon
Musica: Flying Nun Records
Cast: Danielle Cormack, Ian Hughes, Joel Tobeck,
Willa O'Neill, Shimpal Lelisi, Andrew Binns

Produzione: John Swimmer LTD
Formato: 35 mm.
Durata: 89'
Provenienza: Nuova Zelanda
Anno: 1997


Se ci s´accosta a questo film neozelandese con atteggiamento estivo, senza attendersi troppo, si possono ricevere alcune piacevoli sorprese ad iniziare dall´idea per svelare i collaboratori: i titoli di testa vengono spazzati dal mare solo dopo che le due protagoniste hanno introdotto il film nel film che si intitola Frauen ohne Hemde sprechen über ihren Lebenslauf perché un giovane tedesco a passeggio per la spiaggia a fianco a quella di Lezioni di piano ritrova il copione abbandonato dalle due con il fare scanzonato, che contraddistingue l´opera a tratti surreale. Ne vedremo alcuni stralci: un documentario alla Russ Meyer, senza la gioia di vivere del regista americano, anzi privato sia dell´aspetto provocatorio, sia dell´esuberanza dei seni delle sue eroine; al contrario si tratta di un testo di quotidiane tristi minimalità muliebri, che servono per canzonare certi intellettualismi e a completare la figura disturbata di Anthony, il regista forse alter ego di Sinclair, che arriverà ad accoltellare la sua amica in un estremo impulso sessuofobico, ridicolo Jack Squartatore con temperino.

Filmography:
1987 - WALK SHORT (cm, co-réal)
1988 - LOUNGE BAR (cm, co-réal)
1990 - LINDA'S BODY (cm, co-réal)
1993 - CASUAL SEX (cm)
AVENUE DU MAINE (cm)
1997 - TOPLESS WOMEN TALK ABOUT THEIR LIVES
Così noi scopriamo che la regia è di Harry Sinclair solo nel momento in cui il cine-turista decide di acquisire il copione, quindi le onde si incaricano di rivelarci gli altri responsabili di una storia raffazzonata, che tuttavia non disturba, il cui tratto di unione si ravvisa nel fatto che ognuno finisce con il comportarsi in modo opposto a quello che avviene nella norma quando vengono toccati i sentimenti, tranne l´amante (bastardo dentro al punto di mangiarsi la torta destinata al figlio di colui al quale sottrae l´auto per proseguire le sue menzogne) della ragazza incinta di un altro, al contrario disponibilissimo e dunque nell´amaro finale destinato a morire. Un epilogo in cui ad anello si ripetono battute sentite nel prologo, magari scambiando chi le pronuncia in un trionfo di inquadrature sporcate dalla camera a mano, di rigore secondo la scuola di Amori e altre catastrofi, altro titolo proveniente dall´Oceania che sembra fare scuola.
Il costante ritorno di situazioni lievemente mutate rende claustrofobico il rettangolino di schermo che, come all´inizio, nella conclusione si riduce nei confini del video sulla nascita del bambino. Il tempo diegetico del film è compreso tra la diciassettesima settimana di gestazione (con il mancato aborto in una situazione di fretta senza auto iniziata dalla battuta della protagonista: "Posso fare da sola") e lo scodellamento del neonato (avvenuto in assenza di mezzi di trasporto, che fa seguito alla asserzione di Liz: "Posso fare da sola") in una scena teratologica, da savana, poiché l´evento si compie in uno studio veterinario e l´ostetrico è il regista paranoico, non casuale maieuta d´eccezione. Si tratta di uno dei momenti più sorprendenti del film: coinvolge lo spettatore perché la gravidanza è in tutta evidenza autentica per l´intero film e si ha il timore che anche la nascita avvenga davvero sotto l'occhio dell´obiettivo e non solo delle bestie agitate nelle gabbie della sarabanda inquietante scatenata dal montaggio di immagini degli animali alternati al bambino in uscita e al padre morente sul ciglio di una strada, dopo l´incidente provocato dal bastardo faccia d´angelo, a cui è comunque attribuito un vezzo stravagante (la turba psico-sessuale apparenta i personaggi ed il film nel film), come a tutti: fa la calza, turbato dalla lana. La paura è che l´attrice sia stata ingravidata a scopi prettamente filmici, tanta è la naturalezza con cui si espone questo corpo, con ancora maggiore libertà di quella che aveva inscenato Ferreri con il corpo della primipara Ornella Muti in Il Futuro è Donna.

Le situazioni si dipanano spesso attraverso luoghi comuni risaputi, ma resi accettabili dal tono senza pretese e si succedono con un ritmo tale che si perdonano le molte ingenuità, anche se si avverte il fastidio dell´eccessivo accumulo di argomenti e materiali inseriti nel plot: persino trenta secondi di storiellina saffica o qualche minuto di documentario antropologico sui Maori (allo scopo di evocare anche l´altra gloria cinematografica neozelandese, Tamahori). Sontuoso invece l´uso del montaggio nei passaggi da una sequenza all´altra ottenuti per rimandi, connessioni e richiami formali: attrazioni, come nel frangente dell´accoltellamento dove si passa dal sangue al succo di pomodoro della colazione nella nuova situazione, o come nel trascorrere dal muso del caprone che assiste alla morte di Neil a quello del cane nello studio veterinario.
In mezzo alle molte battute divertenti ci sono sequenze che valgono la spesa del biglietto: un´inquadratura della pancia della puerpera in ormai avanzata gravidanza si staglia sullo sfondo del mare: Madre Terra, ma senza seriosità metaforiche, tanto che i bambini attorno giocano con quell´enorme palla; un altro frame è tagliato a metà dal pelo dell´acqua, ottenendo un bell´effetto di dissociazione, adatto ai personaggi; totale adesione poi ottiene il fuck off lanciato al rilevamento di una cassetta degli Oasis in auto; originale la scopata ripresa capovolta come in soggettiva, con scambio repentino del punto di vista tra i due protagonisti.