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Under Construction
Anno: 2015
Regista: Rubaiyat Hossain ;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Bangladesh;
Data inserimento nel database: 22-02-2016


“My daughter’s son lives in London and eats pork Dal 1996 il prodotto interno lordo del Bangladesh è cresciuto del 6% l’anno, nonostante l’instabile e cruenta situazione politica, la corruzione, l’inesistenza d’infrastrutture. La più importante industria è quella del tessile, rappresenta l’80% dell’export. Negli ultimi mesi del 2015, alcuni stranieri sono stati uccisi. Attacchi rivendicati dall’ISIS. Il governo ha smentito, l’ISIS "non è presente in Bangladesh." Il Bangladesh è il protagonista del film Under Construction della regista Rubaiyat Hossain. La regista ci spiega il motivo del titolo: “The reason I call it Under Construction is because the background of the film is Dhaka city and if you look at the city, you cannot find a single spot where a building is not being constructed – so the city, as such, is being constructed – it’s in a transitional phase. The urban citizen is also in the making and so is the modern Bengali woman.” La regista Rubaiyat Hossain appartiene alla nascente classe media ed elevata nel paese. Ha studiato negli Stati Uniti, i suoi film partecipano ai festival di tutto il mondo. La pellicola è stata presentata al 13th World Film Festival of Bangkok tenuto dal 13 al 25 novembre 2015. Under Construction è una storia di orgoglio femminile, colto, ben girato, moderno. La fierezza femminile è rappresentata da Raya. È una famosa attrice, benestante, ha sposato un uomo ricco sempre in giro per il mondo per affari. Da anni Raya porta sul palcoscenico la pièce Red Oleanders, del premio Nobel nel 1913, di lingua bengalese, Rabindranath Tagore. L’opera parla di Nandini una donna energica, moderna, s’innalza per difendere i minatori d’oro da un re prepotente. Questa similitudine fra Nandini e Raya è la chiave di lettura del film: “It is a contemporary story and it’s about your everyday life.” Immediato è il contrasto fra una società con delle situazioni antiche, e un mondo timido il quale timorosamente cerca di trasformarsi. La madre di Raya rappresenta l’aspetto conservatore, abituato a ragionare secondo schemi passati. Esempio è il dialogo con la figlia sul suo lavoro: “Do you know what people call actresses? Whores!” La madre appartiene al vecchio, sebbene anch’essa sia una vittima del maschilismo: il marito l’ha abbandonata anni prima. Ma il nemico più subdolo l’ha sposato: Sameer. L’uomo sembra moderno, conosce il mondo, è educato, erudito ma in realtà è insensibile e maschilista, ha deciso il futuro per Raya, deve essere una madre e deve lasciare il teatro. Quando discutono, l’uomo non risponde, si crede superiore, l’unico momento di rabbia è alla fine, quando offende la moglie: “You’re so selfish Roya!” La regista è spietata con Sameer, in una scena lo rappresenta come un serpente strisciante nel letto accanto alla moglie. Con abilità l’autrice aggiunge altri personaggi e temi. Moyna è la domestica di casa Raya. Una ragazza semplice ma accettata come una di famiglia, un’amica. Nel mondo delle costruzioni in crescita continua, Moyna conosce un muratore, lavora in un fabbricato in realizzazione vicino. Rimane incinta e abbandona il lavoro per seguire il marito in una baraccopoli di Dacca. Moyna è il contrario di Raya, socialmente, culturalmente, economicamente. Moyna è tipica della maggioranza delle donne del Bangladesh, il marito è il capo della famiglia e solo: “married solve any problem, right?” Raya la visiterà, disgustata, nella baracca in cui vive. La sua sorte è segnata. È costretta a lavorare perfino quando è incinta, dal tugurio vicino le due donne sentono un marito picchiare la moglie. Il tema sociale è rappresentato dalla situazione dei lavoratori tessili. Il 24 aprile 2013 un palazzo con delle fabbriche tessili crollò a Dacca. Mentre i negozi e le banche, nello stesso edificio, furono evacuati il giorno prima, perché si era intravista una crepa, i proprietari delle industrie tessili obbligarono gli operai a recarsi al lavoro ugualmente. I morti furono 1134 e i feriti migliaia. La vita dei lavoratori bengalesi non è facile, sottoposti a condizioni pessime e pressioni per contenere dei costi. Un regista propone a Raya di continuare a rappresentare Nandini. Una Nandini ancora più coraggiosa, capace di guidare la rivolta delle donne oppresse per ore di fronte a una macchina per cucire. Essere attrice o avere un figlio? È il dilemma di Raya. Saprà scegliere la decisione coraggiosa e giusta. L’autrice ci consegna un’opera piena di donne, di tutte le classi, molto spesso allo specchio. In strada sono tante, belle e colorate. La condizione riguarda pure le bambine: in una scena una bimba piange perché non vuole che gli si buchi il lobo per mettere l’orecchino. La risposta della madre è antica, lo deve fare perché altrimenti sembrerebbe un bambino. E mentre le strade sono ricche di umanità femminile desiderosa di miglioramenti, nelle stesse strade, gruppi di uomini stanno marciando urlando come slogan: “Hang the atheits” Potranno convivere questi due mondi? https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/bg.html http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/omicidi-di-stranieri-in-bangladesh-il-ministro-l-isis-non-c-entra-_2136684-201502a.shtml http://www.dhakatribune.com/weekend/2015/may/07/female-director-female-gaze http://www.dhakatribune.com/weekend/2015/may/07/female-director-female-gaze http://www.ranaplaza-arrangement.org/