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Rabin, the Last Day
Anno: 2015
Regista: Amos Gitai;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Israele;
Data inserimento nel database: 29-10-2015


“Oggi non decide lei.” Nel 1993, di fronte a un estasiato Bill Clinton, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat firmavano l’accordo di pace di Oslo. Sia Rabin, sia Arafat non erano stati dei santi, avevano il loro passato. La pacificazione era incompleta, prevedeva una prima fase e una successiva trattativa per risolvere le differenze maggiori, rinviate perché senza possibilità di accordo. Il 4 novembre del 1995, il presidente Rabin, dopo un comizio a favore dei patti di Oslo fu ucciso. Ci racconta l’omicidio, i motivi e le cause Amos Gitai in Rabin: the Last Day. Un bel film, realizzato con grande precisione dal regista. Non facile, perché non è una grande ricostruzione costosa, girata con famosi attori, ma è una fusione fra immagini di repertorio, colloqui e finzione. Ci poteva essere confusione ma il regista mantiene ferma la costruzione e il montaggio. Si parte da un’intervista su sfondo nero concessa da un impeccabile ed elegante Shimon Peres, ministro degli esteri all’epoca. Poi si passa da immagini di repertorio sui forti dissidi all’interno di Israele. Ci furono tante manifestazioni contrarie, soprattutto ci furono forti malumori fra gli ortodossi, fra i coloni. Molti rabbini si espressero molto violentemente contro Rabin, e nelle colonie ai confini nasceva tanta rabbia. Si arriva alle poche e confuse immagini del giorno dell’omicidio. Le sequenze del tg sono unite a quelle di finzioni, riguardante il lavoro della commissione d’inchiesta sulle negligenze di sicurezza intorno al primo ministro. È una recitazione teatrale, gli attori si muovono intorno a scenografie minime, ferme, fisse. Interpretano i loro ruoli guardando direttamente al pubblico, alla camera. Camminano sul palcoscenico. Tutto è minimalista ma sufficiente a descriverci i tanti problemi intorno alla figura di Rabin. “La commissione Shamgar aveva un mandato giuridicamente limitato e poté solo rilevare le falle nel sistema di protezione quella tragica sera in piazza dei Re d’Israele a Tel Aviv.” La protezione di Rabin fu inefficace, una disorganizzazione incredibile, strano per una nazione con i maggiori investimenti nella difesa. L’autore indugia sul tema, con i tanti interrogatori (finzione) della commissione dei vari personaggi presenti in piazza e ai responsabili dell’ordine pubblico. Per essi Gitai non ha molta pietà, è implicabile perché li tratta con sarcasmo e ironia. Gitai sembra però escludere ogni eventuali sovrappensiero sull’assassinio di Rabin: “Perché non ha funzionato il sistema di sicurezza a protezione della persona di Rabin? Non saprei. Oliver Stone nel suo film sull’uccisione del presidente Kennedy avanza l’idea del complotto. Non credo che questo valga per la morte di Rabin, non parlerei di cospirazione. Piuttosto del proposito di destabilizzare un leader eletto democraticamente, una persona integra, con una campagna d’aggressione nei suoi confronti.” Se ci fossero state delle complicità, sarebbe bastato chiedere ai vari coordinatori se ci fosse stato qualcosa di diverso rispetto a tutte le altre uscite del primo ministro. Una semplice domanda avrebbe risolto qualsiasi mistero. Nessuna idea di complotto, perché tanti potevano avere interessa nella morte di Rabin. Ma l’assenza della congiura non esime l’autore nel cercare ugualmente un colpevole, un mandante almeno morale. Prima Gitai si concentra fra i tanti gruppi ortodossi contrari. Profondamente fuori fase è la psicologa. Tiene una lezione a dei vulnerabili studenti illustrando la schizofrenia di Rabin, accusandolo di essere fuori di ogni realtà. Durante tutto il tempo, la professoressa ha sul viso un ghigno diabolico. Ma il colpevole per Gitai ha un volto preciso. Nella scena finale uno dei giudici della commissione esce in strada con falsa aria sconsolata. Inizia a camminare e appena si sposta sul muro vediamo un manifesto dell’ultima campagna elettorale israeliana con il volto sorridente di Benjamin Netanyahu. Il peccatore, il responsabile, l’imputato è stato trovato. La contraddizione del regista è evidente, e la sua tesi distorce il limpido pensiero. Quando si vuole avere una dignità intellettuale, è necessario avere una prevalenza dell’idea, di una metodologia; procedimento che dovrebbe essere sempre uguale. Rabin: the Last Day non è un film di indagine, e un film a tesi preconcetta. Secondo l’autore le accuse teoriche lanciate dai rabbini, dagli ortodossi, la maledizione Din Rodef, le manifestazioni di protesta forti ma democratiche e legittime, hanno causato nella mente dell’assassinio Ygal Amir il furore omicida. Ma allora se domani un pazzo dovesse uccidere Netanyahu, Amos Gitai sarebbe il suo mandante morale? Boh! Non basta questo a confondere le idee storiche. L’autore ci aggiunge la motivazione dell’omicidio: “Uno dei tre giudici spiega proprio alla fine del film che dopo quelle tre pallottole il destino di Israele è mutato in modo irrimediabile”. È una tesi un po’ azzardata. Gitai non può pensare il contrario, nonostante si atteggia: se Rabin fosse vivo gli attacchi, gli attentati di questi giorni contro gli ebrei ci sarebbero stati ugualmente. Gitai vuole dirci che senza Rabin gli accordi di Oslo erano destinati a fallire. Lo scopo della sua morte era nel volere il tracollo della pace. Perfino questa tesi è discutibile. A non riconoscere il trattato furono almeno la metà della popolazione israeliana. Ma a non volere gli accordi erano la maggioranza dei palestinesi. Arafat era già nel punto più basso del proprio potere. Rappresentava soltanto una parte dell’OLP. Sia Hamas, sia Jihad Islamica, sia il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina erano contrari. Ed erano la maggior parte dei palestinesi. Infatti, subito dopo la firma iniziò una serie di attacchi terroristici contro Israele. La fine della pace di Oslo, non fu la morte di Rabin, perché stessa sorte negativa ci sarebbe stata, anche se fosse rimasta in vita. Il motivo c’è lo spiega Uri Savir capo negoziatore per Israele per le trattative di Oslo e attuale direttore del Peres Center for Peace, in Tel Aviv-Jaffa, in un suo articolo al New York Times: “The main lesson to be learned from Oslo is that for the peace process to be successful, it must be inclusive, not elitist. It must be a peace by the people, for the people. Arab and Jewish societies need to interact and cooperate and seek reconciliation. People-to-people relations should be added as a sixth permanent-status core issue on the negotiation table.” A volere a tutti i costi una tregua inesistente fu lo sputtanato e inefficace Bill Clinton. I presidenti americani hanno il peccato della vanità, il sogno di passare alla storia. Clinton obbligò i due ad accettare un patto inesistente e non conclusivo, solo per fare bella figura e farsi ritrarre con i due leader mentre si stringevano la mano. È il motivo del forte dissidio e profonda antipatia fra il presidente Obama e Netanyahu. Il primo ministro israeliano si rifiutò di portare avanti accordi di pace soltanto per sostenere la vanagloria del presidente americano, com’è successo con Cuba e Iran. La pace deve partire dal basso, dal popolo, e il 13 settembre 1993 quando fu firmato il trattato, la gente ebrea e palestinese erano contrarie. Lo dimostrano le immagini del film dell’esercito costretto a intervenire contro i coloni, contro i forti contrasti all’interno del paese. L’esercito israeliano per la prima volta fu chiamato a sparare contro gli stessi ebrei. La dimostrazione della forte opposizione popolare è che dal 1992 il Partito Laburista di Rabin perde consensi sempre più forti, diventando marginale nel contesto politico israeliano. Al netto del tentativo di santificazione del Rabin, il film è ottimo, apre un dibattito su un argomento ancora oggi vivo e attuale. www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/07/festival-di-venezia-2015-rabin-the-last-day-amos-gitai-ricostruisce-la-morte-delluomo-che-aveva-osato-sfiorare-la-pace/2015618/ http://news.cinecitta.com/IT/it-it/news/54/64678/amos-gitai-con-l-uccisione-di-rabin-fini-il-processo-di-pace.aspx www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/07/festival-di-venezia-2015-rabin-the-last-day-amos-gitai-ricostruisce-la-morte-delluomo-che-aveva-osato-sfiorare-la-pace/2015618/ www.nytimes.com/2013/08/30/opinion/global/oslo-20-years-later.html?_r=1