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L’ermine
Anno: 2015
Regista: Christian Vincent;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 21-10-2015


“Nessuno avrebbe sporto denuncia.” Esercitare la giustizia non è compito facile. Dal giudice ci si aspetta astrazione dalla vita e dalla società. Dovrebbe essere asettico, rinchiuso in una torre d’avorio. Ma gli influssi esterni sono tanti. Già Isaia in 5,23 ci ricorda che la corruzione dei magistrati inizia in tempi biblici: Guai … “a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l'innocente”. Is 5,23. Il Presidente della Corte d’Assise Xavier Racine - raccontatoci nel film L’ermine da Christian Vincent - è totalmente consapevole di essere un uomo con difetti e pregi. Sopranominato “Il presidente a due cifre” per la sua severità, le sue condanne non sono mai inferiori dieci anni, ha in realtà un’umanità e un senso di giustizia particolare. Uomo esperto, preciso, scandaglia gli avvenimenti, ammonisce i testimoni, interroga gli imputati. Nella vita privata è spigoloso, pignolo pure ironico e brillante: “E’ un modo per selezionare gli amici”. Divorziato vive in albergo. Tra i membri della giuria popolare incontra un’infermiera conosciuta quando era in ospedale e inizia a corteggiarla: “Eri imbottito di morfina.” Il cinema francese è riuscito a realizzare dei film veramente gradevoli. Abbandonato il provincialismo, raccontano storie universali, perfette ovunque. La giustizia e il giudice sono argomenti internazionali. Non c’è nulla di barocco. Bel soggetto, una sceneggiatura semplice (e l’aggettivo semplice è un grande complimento), recitato con carattere da Fabrice Luchini il film commuove e appassiona. Il tribunale, luogo imponente e solenne nel cinema americano, diventa un luogo umano. Nei film americani la giustizia è esercitata con alterigia, si sa, il colpevole non avrà scampo, qui invece il Presidente ha un’umana e banale influenza ma soprattutto ha la consapevolezza dell’imperfezione: il colpevole potrebbe ingannarlo e farla franca. I momenti del processo oscillano fra il serio e l’ironico. I membri della giuria popolare sono un mondo. C’è di tutto, la donna araba con il velo, mandata dal marito solo per paura delle conseguenze giuridiche, ma accompagnata da una parente. C’è una carrellata di testimoni, molti buffi, come marito e moglie. Raccontano la stessa scena, contemporaneamente ma in maniera diversa e litigando scioccamente. Sarà il giudice a metterci qualcosa in più e a decidere. Divertente, brillante nei protagonisti, senza sbavature. Lo stesso regista ci aveva presentato un altro carattere particolare e simile, ma al femminile nella La cuoca del presidente. Essere cuoca o essere giudice sono uguali mestieri, dipende sempre dalla passione.