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Pus – Haze
Anno: 2010
Regista: Tayfun Pirselimoğlu;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Turchia; Grecia;
Data inserimento nel database: 01-09-2015


“Il mondo è pieno di matti.” Sicuramente la Turchia sta avendo una spinta sociale notevole. Istanbul è il nucleo fondamentale delle tante facce di cui è composta la nazione turca. Un ambiente molto più complesso di quello che può sembrare. I curdi rappresentano il 10% della popolazione, è forte e politicamente schierata, come ha dimostrato la vittoria di Selahattin Demirtas nelle ultime politiche. Inoltre c’è ancora una forte presenza armena (ricordata con il riconoscimento di Papa Francesco del genocidio) e cristiana soprattutto a Istanbul. Va aggiunta la componente laica del pensiero politico, quella derivante da Mustafa Kemal Atatürk. Oggi i mutamenti di forza sono stati sconvolti con l’arrivo al potere di Recep Tayyip Erdogan e del partito islamico Akp. Queste differenze di pensiero curdo armeno cristiano e laico hanno ancor oggi una forte sensibilità a Istanbul. Di questa meravigliosa città ci presenta un affresco minimalista, il regista turco Tayfun Pirselimoglu nel film Pus – Haze. Siamo distanti dagli affreschi politici dello stesso autore nel film Hiçbiryerde – Innowhereland. In questo film entriamo nell’aspetto umano più distante e freddo. Una macchina si ferma a ridosso della mdp, dentro ci sono un uomo e una donna. Essa scende e si allontana. C’è silenzio, la camera in campo lungo ci mostra sullo sfondo Istanbul, una città che si perde nell’orizzonte quanto è grande. La coppia vive una quotidianità spenta. Il marito Emin è distrutto da un sentimento depressivo “Io la amo troppo, ecco perché la voglio morta.” Assolda un killer per ucciderla. In circostanze casuali la pistola è ritrovata da Resat. Anch’esso ha delle problematiche umane. Fatica a trovare una sua dimensione in una casa alienante. Si finge il killer destinato all’uccisione della donna. Ma questi complessi e derelitti sentimenti umani e familiari sono racchiusi e stritolati da Istanbul e da suoi tredici milioni di persone. Il regista non ci risparmia nessun minimo particolare della fatiscente periferia, della casa dei protagonisti, del televisore unica voce della casa. Il dolore prevale non può essere altrimenti ovvero lo squallido mondo delle prostitute ciccione e brutte ovvero dei film porno visti nel computer del lavoro ovvero della macelleria e del sangue prodotto dalle carcasse. In una scena la freddezza della casa è regnante: è sera, la moglie braccia conserte e il marito guardano tristemente senza parlarsi la tv mentre l’unica fonte di luce è una fioca lampada. Da una parte c’è il silenzio continuo, irrespirabile dei protagonisti, anche il litigio fra la coppia è silenzioso. Dall’altra ci sono i forti e vivi schiamazzi della città. Il bravo autore ci presenta una Istanbul dark noir distante fredda impassibile, come i depressi protagonisti. A volte non succede nulla, è tutto un rumore, un suono: le macchine, un canto, la televisione ma arriva sempre da fonti esterne, mai dai personaggi. Anche il dialogo fra mandante e finto esecutore è minimalista, eppure si parla di uccidere una donna. Il regista continua con campo medio e inquadratura fissa, ci deve mostrare il senso di immobilità, utilizzando anche case modeste, arredamenti insignificanti. Essi sono totalmente avulse dalla realtà , non hanno nulla di bello e intanto fuori la città sembra l’unica a vivere. Se qualcosa cambierà in Turchia si dovrà partire proprio da Istanbul.