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Hiçbiryerde – Innowhereland
Anno: 2002
Regista: Tayfun Pirselimoglu;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Turchia;
Data inserimento nel database: 01-09-2015


“È lì, da qualche parte nel buio.” In Turchia dopo il colpo di stato del 1980 sono scomparse oltre duemila persone. Il picco ci fu durante il 1990 l’anno in cui il conflitto, fra governo turco e il partito dei lavoratori curdi, raggiunse il suo acme.( (http://www.thenational.ae/arts-lifestyle/the-review/the-long-read-where-are-turkeys-missing) Sono sparizioni violente, erano i partecipanti alle rivolte dell’epoca. Nonostante sia passato tanto tempo, ancora oggi qualche centinaio di donne, “le madri del sabato” – si radunano in piazza Galatasaray a Istanbul, reclamando almeno un gesto di carità con la restituzione di un corpo e una presa di posizione sulle responsabilità del tempo. In Hiçbiryerde – Innowhereland il regista Tayfun Pirselimoglu ci racconta la lotta di una madre per riavere il figlio svanito. Veysel è un ragazzo attivo nei movimenti politici dell’epoca. È sparito da qualche tempo. La madre Sükran resiste e continua ininterrotta una personale ricerca, disturbata dall’omertà voluta della polizia e dalle tante difficoltà burocratiche. Sükran ha un lavoro ma il suo pensiero è soltanto per il figlio. È una donna combattiva, non ha paura delle reazioni e delle dissuasioni delle persone vicine. È in continua agitazione, si veste modestamente e soffre di continui svenimenti. Passa davanti a un muro dove sono appesi tanti fogli con le fotografie delle persone scomparse. Intorno a essa c’è una bella Istanbul, colorata, ricca di umanità e di solidarietà per la donna. Sullo sfondo di Santa Sofia e delle navi sullo stretto cerca di ottenere un’irrealizzabile verità. Si scontra anche con Sule, la fidanzata del figlio: “Non era così innocente come credi” “Ami tuo figlio ma non lo conosci” La volontà a non arrendersi trasporta la madre fino all’interno della provincia turca, a Mardin una regione orientale vicino al confine siriano. In questa terra distante, la donna tenta l’impossibile per entrare in contatto con la verità. Si scontra con una realtà difforme dalla città, un mondo di cui non era a conoscenza, come l’incontro nel treno con un prigioniero. Il film ci mostra una Turchia diversa, crudele ma anche un’umanità forte sia a Istanbul, sia a Mardin. La donna deve prendere coscienza, e inizia una crescita umana e consapevole nella spirale della sua travolgente tragedia. Non è neppure spaventata di un mondo totalmente al maschile a Mardin. Nell’autobus, nell’albergo, nel ristorante è l’unica donna, intorno ci sono solo uomini. È il contrasto fra le libertà avanzate di Istanbul e la campagna turca, dove il mondo è ancora differente. Pure a Mardin incontra solidarietà: una vecchia con un bambino gli predice il futuro o quando gli riportano i soldi pagati a un disonesto. Tutti sanno tutto, ma tutti proteggono i fuggiaschi. Fino al paradossale equivoco, fra una madre disperata e un figlio disperato. Il regista ci commuove senza mai scendere nella banalità, nel finale il dramma raggiunge la maturità. La donna ritorna sola a Istanbul. A casa alle sue spalle sul muro ci sono appese le fotografie del figlio. Al muro si fissano le foto dei morti. La donna ha preso consapevolezza.