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Ice Poison
Anno: 2014
Regista: Midi Z;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Taiwan; Myanmar;
Data inserimento nel database: 08-01-2015


“The spirit of our ancestors.” Lashio è una città del Myanmar vicino al confine cinese. L’economia è prevalentemente agricola, ma è insufficiente, la popolazione sopravvive con grandi difficoltà, in un ambiente povero. Nonostante la posizione defilata, nella città c’è una forte diffusione di droga. Ice Poison è il crystal meth, vale a dire una metanfetamina in cristalli, una droga chimica, molto potente con micidiale assuefazione. Ice Poison è il titolo dell’ultimo film del regista Midi Z, nato in Mynamar ma trasferito all’età di sedici anni a Taiwan. La storia ci porta dentro la miseria e le difficoltà del Myanmar, raccontandoci una storia di droga, di spaccio, l’emozione del ritorno a casa, alle proprie origini. Lo conferma il regista in una sua intervista: “The farther away you are from home, the more you cling on to your roots,” says the 32-year old director. “That’s what happened to the Chinese community that lives on the border of China and Myanmar.” (http://blogs.wsj.com/scene/2014/02/18/burmese-director-midi-z-on-ice-poison/) Gli emigrati quando vivono fuori dal loro paese d’origine, formano comunità per riaffermare la propria identità nazionalista, esaltando le radici come non farebbero mai se fossero rimasti in patria. Il film inizia con un’inquadratura della campagna birmana, un ambiente solare, un uomo lavora nel campo, sta bruciando delle erbacce. L’uomo, piuttosto anziano, vive solo con il figlio, dedicandosi all’agricoltura. La loro attività non gli consente di mantenersi. Perciò il padre gli suggerisce un diverso lavoro come il taxi driver con uno scooter. Ma non hanno denaro per comprarlo. C’è un’unica soluzione, prendere dei soldi in prestito dando come garanzia una mucca. Con i guadagni di sei mesi avrebbero riscattato il meschino animale, altrimenti il nuovo proprietario lo avrebbe macellato. Il ragazzo cerca clienti nella stazione degli autobus della città. Gli affari vanno male e un giorno incontra una ragazza – Sanmei - del posto. È ritornata perché il nonno sta morendo. Si è sposata e ora risiede a Taiwan. Sanmei non vuole più tornare nell’isola perché il marito l’aveva ingannata, egli è più spiantato di loro. Pertanto a Taiwan è costretta a lavorare tantissimo. Vuole trovare dei soldi facili per rimanere a Lasha e riprendersi il figlio. Rimane il più facile dei sistemi: trasportare ice poison, droga. La donna si serve del ragazzo con il suo scooter per le consegne. Ci sono varie letture. Sicuramente l’emigrazione. Durante la ricerca del denaro, padre e figlio, incontrano tante famiglie. Tutte hanno qualcuno emigrato: Malaysia, Thailandia, Mandalay. La povertà emerge in questi incontri di poche parole. Tutte in campo lungo gli raccontano di migrazione e delle tante difficoltà, dei sogni infranti incontrati anche lontano di casa. “Take a seat” e tutti non hanno denaro da prestargli. È triste. Non solo per i problemi economici. Il padre parla sempre mentre il figlio sta seduto e zitto. L’emigrazione non è facile. Sanmei si è accasata con un uomo molto più vecchio nella speranza di avere un futuro migliore. In realtà si trova ad affrontare una situazione peggiore. C’è molta falsità. Gli emigranti, per telefono, raccontano a casa mille bugie. I parenti non devono immaginare di come, addirittura, la vita sia peggiore. “I stay here to make money” Sanmei dice al figlio al telefono: gli parla di lavoro, di risparmi mentre intorno a noi vediamo unicamente miseria. Emigrato è lo stesso Midi Z: “I moved from Burma to Taiwan at the age of 16. Those memories have had a great impact on me. Filming is like writing diaries for me. I use the camera to depict my memories about the life and the people in Burma. In the face of globalisation, I am also trying to explore the kind of role that Burma is playing in the contemporary world.” (www.takeonecff.com/2014/interview-midi-z) L’autore si è trasferito dalla bisognosa Birmania a Taiwan, eppure desidera tornare, cercando le proprie tradizioni. C’è poi la droga, di come si è insinuata in un paese indigente ma grande produttore. La droga distrugge le persone. Il ragazzo e Sanmei iniziano a drogarsi. Non hanno nulla da perdere. Soli, isolati, scoraggiati, sfiduciati si stravolgono con la metanfetamina. La ragazza è bella mentre egli è impacciato, stupito. Dopo essersi drogati, la scena è una soggettiva mentre corrono in scooter. La strada diventa incerta mentre Sanmei, traumatizzata, canta una canzone ripresa da una scena precedente ambientata nel karaoke. C’è la morte del nonno. “Please take him with you” è la preghiera della famiglia per sua morte. Queste preghiere, i riti, la campagna, il padre, il karma sono le caratteristiche del Myanmar, dove la tradizione è centrale. Il film rispecchia fedelmente la volontà culturale dell’autore. Lo dimostra con i due personaggi, le loro tensioni, mostrandoceli diversi, essa prevaricatrice mentre il ragazzo è succube, attratto. Nel finale la miserabile mucca è fatta a pezzi. Il regista non ci risparmia nulla della macellazione, il sangue, il pianto dell’animale mentre è lentamente soffocato da un cappio, e il colpo al collo mentre è ancora vivo. Una metafora.