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Tsili
Anno: 2014
Regista: Amos Gitai;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Israele;
Data inserimento nel database: 14-10-2014


“La morte ci inseguirà.” Dopo averci parlato del padre in Lullaby to My Father, averci raccontato un matrimonio fra una ebrea e un musulmano in Ana Arabia, quest’anno Amos Gitai ritorna al tema della shoah, dell’eccidio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale con il film Tsili. Tsili è una ragazzina ebrea, un po’ semplice, ingenua. La famiglia fugge e la lascia a guardia della casa, perché secondo loro potrebbe passare inosservata. Dopo mille problemi, la fuga, finirà nel campo di concentramento e sarà liberata alla fine della guerra. All’inizio, su uno sfondo totalmente nero, sbuca una donna in bianco, balla. Si avvicina, si rimpicciolisce e continua a danzare. Stacco deciso e ci ritroviamo in una campagna. Si sentono dei colpi, vicino si sta sparando. Compare una ragazza, è Tsili. A volte la guerra si azzittisce, e la campagna si avvolge di silenzio e dai tenui suoni della natura. Dopo un buon quindici minuti della ragazza a raccogliere legna nel bosco, appare Marek. Un bel giovane ebreo anch’esso in fuga. S’incontrano, “sono felice” e Tsili inizia a piangere. Sono inquadrati dall’alto per esaltare la loro disgrazia. Marek la violenta. Stacco totale di scena e arriviamo alla fine della guerra. Gli ebrei sono stati rilasciati e camminano. Inizia una recita teatrale fra i profughi e una voce fuori campo ci racconta la storia di Tsili. È realizzato con la solita cifra linguistica di Gitai. Dei lunghi piano sequenza, un montaggio con scene non diegetiche, una recitazione affettata, delle inquadrature, una scenografia teatrale e tanto silenzio. La storia di Tsili è raccontata in modo non reale ma surreale, e su questo, sui lunghi piano sequenza Gitai è un maestro: “Ho paura di addormentarmi” dice Tsili al giovane ragazzo.