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Emperor
Anno: 2012
Regista: Peter Webber;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA; Giappone;
Data inserimento nel database: 28-10-2013


“Siamo entrambi colpevoli.” La dea del sole Amaterasu sconfisse dopo lunga battaglia il dio del mare e delle tempeste Susano-o. Il premio fu la possibilità di lasciare i suoi discendenti sulla terra, così il suo pronipote Jinmu fu il primo Imperatore del Giappone. Ebbene, il dio Imperatore della seconda guerra mondiale, Hirohito, fu costretto ad affrontare un essere umano, un po’ rozzo, privo di buone maniere, il generale MacArthur. MacArthur fu nominato generale a soli 38 anni, il più giovane dell’epoca, dimostrando grandi capacità organizzative, militari. Con notevole carattere e personalità, mostrò di essere un leader rispettato e temuto. Alla fine della seconda guerra mondiale, all’età di 75 anni, fu nominato Comandante supremo delle forze alleate in Giappone. In realtà di alleato ci fu poco, perché, salvo qualche presenza simbolica, le truppe presenti erano solo quelle americane. Ebbe il compito di ricostruire il paese sconfitto, e lo fece senza attuare ritorsioni, rispettando i giapponesi e le loro tradizioni. I giapponesi risposero con un elevato fervore collaborativo. Doveva smantellare l’esercito giapponese, evitare ogni possibile ricaduta militarista, eliminare ogni autoritarismo. Perciò lavorò su una nuova costituzione, creòun sistema democratico e avviò una ripresa economica. Per riuscirci aveva bisogno di mantenere intatta la principale istituzione del paese, quella imperiale. Mentre alcuni politici e militari furono condannati in processi tenutesi a Tokyo e in altri paesi asiatici, all’Imperatore gli fu evitato sia il processo, sia l’abdicazione. La decisione fu presa dal generale stesso, dopo un incontro storico con l’Imperatore. Fra i due ci fu immediata sintonia e MacArthur ebbe simpatia per il reale. L’11 aprile del 1951, dopo per critiche del generale MacArthur al Presidente Truman per il comportamento americano nella guerra di Corea, per ritorsione il governo americano lo richiamò in patria e lo destituì dall’incarico della guerra di Corea e di comandante del Giappone. Lasciò il paese come un eroe. Per quale motivo il generale MacArthur salvòHirohito? Sicuramente se fosse stato arrestato e addirittura impiccato ci sarebbero state rivolte, resistenze armate, anarchia, insurrezioni. Soprattutto il governo americano temeva l’arrivo del comunismo, e nell’odio verso i comunisti ci fu perfetta sintonia fra il generale e l’Imperatore. La giustificazione all’opinione pubblica – soprattutto asiatica – fu che Hirohito sarebbe stato un uomo fragile, trovatosi di fronte a situazioni più gravi senza avere potere decisionale. Una colpa di omissione, non una colpa per azioni o decisioni prese. Su questi aspetti gli storici sono divisi, ma trovano consenso nel film Emperor di Peter Webber. Il regista ci porta nel Giappone del 1945. Le prime scene sono quelle del lancio della bomba atomica: “pronti a sganciare.” Si continua con le solite immagini dell’epoca per tracciare il quadro storico. Ci si ritrova dentro un aereo americano nel quale c’è il generale MacArthur in procinto di arrivare a Tokyo per prendere il commando. Prima dell’arrivo, l’aereo si ritrova in una pacchiana immagine con il monte Fuji nello sfondo. È l’inizio dei luoghi comuni. Con lui c’è il generale Fellers, esperto di questioni nipponiche perché si era innamorato di una ragazza giapponese in America e l’aveva seguita a Tokyo. L’ordine di MacArthur per Fellers è perentorio: l’Imperatore si può salvare? Inizia una farsa d’indagine, dove si muovono tanto e tutti, ma non si capisce quello che fanno. La povera Tokyo del tempo doveva essere in condizioni pietose, come ricordiamo dal film Dodes'ka-den di Kurosawa, ma non meritava la pietà mostrata dal regista Webber. Tokyo è colma di rovine e vicino vivono i sopravvissuti. L’incapacità di esporre idee trasforma la capitale in un luogo finto falso ridicolo. La Toyko notturna vive di una luce e di un alone ipocrita, un’artificiosità sconcertante. Come il bar in cui la notte Fellers andava a bere il sake, punto di partenza per i noiosi flash back, melliflui e sdolcinati, sui momenti d’amore con la giapponese. Fortunatamente è arrivato il momento in cui gli avventori giapponesi lo riempiono di botte. Però i luoghi comuni continuano, non si fermano qui. Non poteva mancare il giardino zen, i discorsi fra le mentalità diverse: “queste persone sono dei barbari.” Anche se togliamo i noiosi flashback, un’indagine contorta, dovrebbe rimanere il generale MacArthur. C’è lo raccontano come un uomo vanitoso, arrogante, con mire altisonanti, il comandante supremo, quello che i giapponesi credevano l’imperatore americano del Giappone, l'uomo che mandò a quel paese il Presidente degli Stati Uniti. Ci si aspettava un uomo di spessore, di carattere, di personalità visiva, di una recitazione forte, di una presenza fisica elevata, invece ne viene fuori un MacArthur moscio, spento, timido. Un montaggio incomprensibile, un’uggiosa voce fuori campo, una sceneggiatura conformista, una scenografia da presepe casalingo, Il regista parte presuntuoso, capiscione e finisce nel perdersi fra tradizioni studiate dalla Lonelyplanet. Il problema è proprio questo, il Giappone è bugiardo perché visto da un occidentale, amante del paese ma senza trasporto. Al regista piace il Giappone? Ci vada in vacanza, non c’è bisogno di farci un film. Il tono è così dimesso che l’incontro finale fra generale e Imperatore – momento cruciale – si perde in movimenti strani, posture anomale, inquadrature sbilenche come l’attenzione per le scarpe di Hirohito. C’è pure il momento dell’azione. Il discorso di resa di Hirohito alla nazione è nascosto perché soldati attaccano il palazzo imperiale per impedirne la trasmissione. Se non lo avessi letto su un libro di storia, non ci avrei capito nulla, anche perché tutti si muovevano impazziti. Non rimane molto del film.