NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


A Walk on the Moon
Anno: 1999
Regista: Tony Goldwyn;
Autore Recensione: giampiero frasca
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 18-10-1999


A Walk on the Moon (idem), regia: Tony Goldwyn; sceneggiatura: Pamela Gray; direttore della fotografia: Anthony Richmond; montaggio: Dana Congdon; prodotto da: Dustin Hoffman, Tony Goldwyn, Jay Cohen, Neil Koenigsberg, Lee Gottsegen, Murray Schisgal; con Diane Lane (Pearl), Viggo Mortensen (Walker Jerome), Marty (Liev Schreiber), Anna Paquin (Alison); Usa, 1999; durata 1 h e 35'. È assolutamente singolare come il film di Tony Goldwyn (che è, in pratica, l'attore che interpretava il cattivo di Ghost, quello che prima fa uccidere Patrick Swayze e poi cerca di sottrargli Demi Moore) utilizzi secondo le sue convenienze momenti che nell'immaginario collettivo hanno rappresentato motivi forti ed unici come la libertà, l'anticonformismo, l'affrancamento da qualunque obbligo, il ribellismo, e non solo quello giovanile. A Walk on the Moon è un film terribilmente ingenuo per come intende coniugare ed utilizzare emblemi della società degli anni Sessanta e della Controcultura giovanile. Woodstock, i simboli del pacifismo nell'epoca della dirty war del Vietnam, la marcia sul Pentagono (celebrata anche da Le armate della notte di Norman Mailer), le manifestazioni, le camicie a fiori e lo spirito libero poco c'entrano con una storia di ordinaria meschinità. A Walk on the Moon, a ben guardare, è un film ingenuo soltanto per come porta avanti cinematograficamente la materia narrativa, tematica e simbolica, perché da un punto di vista esclusivamente ideologico il primo film di Goldwyn è una pellicola stupidamente reazionaria, nel perfetto stile middle class americano. Perché infatti riesumare tutto il côté controculturale di quegli anni, con quello che direttamente ne consegue, per far passare un messaggio essenzialmente piccolo borghese che con il mito della ribellione degli anni Sessanta non ha alcuna attinenza? Forse per conferire maggior forza alla scelta sofferta di Pearl, in rapporto alla possibilità di affidare i propri sensi alla magia delle libere sensazioni provate con Walker, figura che il film pone come emblema della libertà pulsionale? L'acutizzarsi del contrasto tra la netta possibilità di sentirsi liberi (e, soprattutto, di essere per la prima volta soddisfatti della propria esistenza) e la responsabilità verso le scelte importanti della vita che danno la stabilità e la pace familiare, con la netta vittoria di queste ultime, rappresenta il modo con cui Goldwyn e la sceneggiatrice Pamela Gray intendono sostenere la loro tesi di condanna delle pulsioni e di esaltazione (cupa, senza entusiasmi, ma proprio per questo più ammirevole) della consapevolezza delle cose importanti, dei veri valori su cui si fonda la vita dell'uomo. La famiglia si contrappone al libero amore, il senso di responsabilità sconfigge miseramente le illusioni, mentre la possibilità di sentirsi pienamente realizzati viene accantonata per lasciare il posto al quieto vivere domestico, il solo che possa garantire il perpetuarsi di certezze e vividi valori. Non solo. Come se non bastasse l'accantonamento di tutti i motivi che hanno fatto l'esistenza di un'intera generazione (il che non è condannabile in sé, si noti bene), Goldwyn vira di trecentosessanta gradi l'assunto tematico e fa in modo che la riconciliazione tra i due coniugi avvenga con la nuova consapevolezza di trovarsi in un periodo speciale, che sicuramente farà epoca, e di cui, improvvisamente, condividono gli afflati illusori, innovativi ed anticonformistici, rapportati, però, ad un nuovo legame familiare, più maturo e forse anche più solido. Squallida ed inutilmente stucchevole la scena finale (che deve essere assolutamente rassicurante) in cui Pearl e Marty si ricongiungono ballando secondo la moda del periodo sulle note di Purple Haze di Jimi Hendrix, dopo che il tentativo di rappacificazione operato ballando cheek to cheek la classica melodia di Dean Martin, che la radio stava diffondendo, si era rivelato inutile. Anche non da un punto di vista rigidamente ideologico (o morale, di quella sana moralità che sa tanto di etica rappresentativa), tenendo quindi conto della validità narrativa, A Walk on the Moon, non regge per niente. Inserito in un ben definito avvenimento contestuale (l'allunaggio) dal significato che rimane ambiguo per tutto il film (materializzazione dei sogni umani, voglia di evadere, simbolo di libertà e leggerezza, della perseveranza umana o semplicemente modalità da calendario, punto notevole per caratterizzare un'epoca?), A Walk on the Moon è inficiato anche da un'errata caratterizzazione dei personaggi (che porta ad identificarsi con un personaggio come quello di Walker, gentile, affascinante e delicato, incarnazione della libertà e della leggerezza del sogno, ma immagine della sconvolgente trasformazione di Pearl che il film, in un'estrema ed ulteriore contraddizione interna giudica come altamente disdicevole) e da una messa in scena schematica che privilegia le situazioni stereotipate ed elementari (il marito goffo sul piano sessuale, ad esempio). Rimane soltanto una splendida colonna sonora, con Greateful Dead, Janis Joplin, Desmon Dekker & the Aces, Judy Collins, Joni Mitchell e It's a Beautiful Day. Ma per ascoltarla esistono i dischi, non c'è alcun bisogno del film.