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Il grande Gatsby - The Great Gatsby
Anno: 2013
Regista: Baz Luhrmann;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA; Australia;
Data inserimento nel database: 28-08-2013


“È già più ricco di Dio.” Dopo la fine della prima guerra mondiale, la ricostruzione e lo sviluppo economico degli Stati Uniti crebbero notevolmente. La borsa americana ebbe un incremento vastissimo. La finanza stava avendo un successo prodigioso. La ricchezza si diffuse, gente senza mestiere si mise a speculare ottenendo incredibili guadagni. La classe media s’ingrandi e i ricchi diventarono spudoratamente milionari. Una colossale impostura, un mondo fantastico, irreale, immaginario perché il patrimonio era finto, virtuale. Il 24 ottobre 1929, il ‘giovedì nero’, la borsa ebbe un tracollo – già iniziato il mese precedente – ma quel giorno di ottobre sarà ricordato per il panico, per l’avvenuta consapevolezza di una ricchezza illusoria. La borsa andò in ipervenduto a prezzi sempre più bassi e fu la fine. Dalla finanza si passò all’economia reale, quella giornaliera, delle aziende, delle famiglie. Il prodotto interno lordo diminuì, milioni di disoccupati cercavano invano un nuovo lavoro. La crisi depressiva si allargò a tutto il mondo. La fine era arrivata, non solo economica ma anche di un modo di vivere, di un’idea di vita. Pur con molte mille differenze la storia si è ripetuta oggi. Una crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti si è allargata in tutto il mondo. Sono stati spazzati via come in uno tsunami una classe sociale di arrampicatori, speculatori, e purtroppo anche il ceto della media borghesia. In questa atmosfera assurda, il regista australiano Baz Luhrmann ha scelto giustamente di ripresentare il remake del Il Grande Gatsby.: "Fitzgerald era moderno e pop pure lui. Il motivo per cui in vita per così dire passò di moda fu che era troppo moderno e pop. Quando arrivò il crollo del ’29 lui lo aveva prefigurato. Tutto si può dire, ma non che fosse nostalgico, prezioso o un pezzo da museo". (http://info.rsi.ch/home/channels/informazione/info_on_line/2013/05/17--Cannes-incontro-con-Baz-Luhrman Nessun film migliore di questo potrebbe descrivere uno stato d’animo, raccontare la grottesca esposizione di lusso, il maniaco esibizionismo di potere economica, una prosperità bugiarda e ipocrita, una sontuosità ridondante. Non è solo un’esposizione materiale di pomposità, è un atteggiamento, un carattere cresciuto nell’eleganza e nondimeno nello spreco, nello sperpero, nella dissipazione morale. Gatsby è un’esagerazione e una fastosità stupefacente. Le sue feste sono indimenticabili, perfino se nessuno lo conosce personalmente. I suoi party sono di una decadenza divinatoria, un ultimo superfluo rivolo di un mondo che a breve correrà a lanciarsi nel vuoto dalle finestre di Manhattan. Tanta sovrabbondanza è perfetta per l’occhio cinematografico allucinato di Baz Luhrmann. La storia è un lungo flashback dell’unico vero amico di Gatsby: Nick Carraway. Il racconto parte dal 1922, quando gli USA erano nel pieno del boom di Wall Street. Il denaro era facile e perfino i negati dell’economia si dedicavano al trading di titoli finanziari. La rappresentazione di New York dell’epoca è la mia preferita. Irreale, finta ma eccitata per la bellezza e la vivacità, in sintonia con l’opulenza del momento. Il regista ci mostra una città piena di musica, con ampiezza d’immagini, grande quantità di colore e abbondanza di particolari. Ma non è reale, è totalmente fasulla grazie a una bella sceneggiatura surreale; la città finta è come la ricchezza: è contraffatta. Le immagini sono abbellite dalla voce fuori campo del protagonista, da primi piani e da tanto lusso. Da New York si passa a Long Island e al castello disneyano di Gatsby. Un eccesso di sfarzo tratteggia il gala nel castello. Fuochi di artificio s’innalzano nel cielo accompagnate da una musica possente e vivace. Gli ospiti sono tante caricature, con visi deformati da una camera ubriaca di lusso. La camera è in volo punta sulle fonti di luce, creando una scia anch’essa irreale e fantastica. Tutti i personaggi si muovono come in un balletto, come quando i domestici aprono le porte. La sensazione è una dionisiaca orgia per il Dio denaro, un ricevimento per prestare saluto alla decadenza morale e di look. Come in una festa di Satiricon il castello acquisisce una vita propria e lo sentiamo pulsare con la musica, diventata nel frattempo rock e hipop forte e acido. Ma all’interno della potente New York c’è un pezzo di mondo rimasto indietro. È quello sulfureo, annerito, nebbioso della grande discarica. In questo putrefacente luogo si forma una metafora con la ricchezza. L’immondezzaio cresce a dismisura perché il consumo, l’usura, lo spreco produce tante scorie, spazzatura e non solo fisica. Nelle viscere di quell’oscuro inferno vive una popolazione di emarginati, d’insalubri persone. Essi non prendono neppure le briciole, anneriscono i loro polmoni delle esalazioni dell’immondizia, unico contatto con l’abbondanza di soldi dei ricchi. La camera si muove a volo di uccello dalle finte finestre dei palazzi di New York e volteggia flessibile sulla discarica. I possenti uomini della finanza utilizzano le belle ragazze dei bassifondi per celebrare la loro opulenza. La miseria delle femmine è un viagra, un’eccitazione per persone decadenti. La festa a casa di una di loro si trasforma in un baccanale, in un’orgia con eccesso di alcool droga e sesso: “Che gran circo.” Le due classi s’incontrano negli effimeri e deprimenti congressi carnali. Dalla casa inquadra le mille finestre di New York. In ogni finestra c’è il proprio mondo e la propria perversione. Il surrealismo della sceneggiatura ci porta nella fantasiosa mente del regista. Le tante luci della città, del castello, delle baldorie brillano unicamente per far risaltare il colore nero. Ma la ricchezza è immoralità? “Legge libri seri con lunghe parole”. Deissy è sposata con un capitalista molto ambizioso. Esso è il contrario di Gatsby perché non ha eleganza, gusto, savoir faire. I due si amano, o meglio, Gatsby è follemente infatuato, ha costruito una favola per amore di lei. Luhrmann conosce bene gli amori impossibili. Ha diretto in precedenza una trasposizione di Romeo e Giulietta: l’amore fra Gatsby e Daisy è impossibile. Il Grande Gatsby, tuttavia, si potrebbe definire una simil commedia shakespeariana plasmata abilmente dal linguaggio surreale del regista. Riesce a canalizzare la parossistica interpretazione di Gatsby grazie a Leonardo di Caprio. Diventato più maturo presenta una versione estremamente nervosa e irrequieta. Nella parte del dandy nasconde l’occhio malizioso e il sorriso ammaliante di un segreto indecifrabile. Il montaggio del film avviene in dissolvenza, con una sfumatura molto delicata: il dito di Gatsby si trasfigura nel dito dell’amico pazzo, battuto nevroticamente contro il vetro della finestra. Ma la surreale New York e il diabolico bassofondo dello smaltimento di carbone sono la parte migliore, quella nostalgica decadenza dark presagisce il disastro futuro prossimo, e la sventura della città. Come la collera di Dio per gli empi abitanti di Sodoma e Gomorra, su New York sembra piovere zolfo e fuoco per i loro gravi peccati, la rabbia di Dio cadrà sulla città colpita dalla crisi per l’egoismo dei tanti. A New York c’erano ‘cinquanta giusti’ e saranno le vittime collaterali. Il gusto retro del regista aiuta il film in tanti piccoli frammenti. “Sono io Gatsby” è la sua prima inquadratura totale e la sua immagine è sommersa dagli sfavilli, dagli allegri fuochi di artificio. “Tutto questo a che serve?” La bellissima macchina gialla sfreccia colorando la strada di campagna e di città. La velocità e la guida esasperata nell’abitacolo giallo descrivono il personaggio di Gatsby meglio di tante altre eccessive scene. La storia cade sull’ostacolo del dramma amoroso e sentimentale. Forse ha una funzione sociale e metaforica, ma sicuramente rompe il ritmo infervorato dell’eccesso. Perché Daisy è molto stereotipata, una bambola reale: “E spero che sia anche stupida. È la cosa migliore per una ragazza.” Baz Luhrmann parte alla grande, la potenzialità visiva è notevole, la capacità di giocare con le coreografie e con la musica una dote notevole. Ogni sua pellicola appare non completa totalmente, dopo la visione sembra mancargli qualche cosa per renderlo memorabile e importante. Lo stesso accade nel Il Grande Gatsby, ho la percezione di un’opera incompiuta, destinata a un grande avvenire ma poi intasata come un ingorgo della Salerno – Reggio Calabria come tante opere meno ambiziose. È una mancanza di sceneggiatura? È un modo standardizzato di produrre un’opera? Perché le caratteristiche sono sempre le stesse e avrebbe forse bisogno di dimenticare il suo ruolo? Però il rifacimento ci consegna e ci riporta alla mente una storia con momenti simili all’attuale e questo è già un grande merito.