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STARBUCK – 533 figli e... non saperlo
Anno: 2011
Regista: Ken Scott;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Canada;
Data inserimento nel database: 05-07-2013


“Le bugie sono la base di ogni relazione stabile.” L’inseminazione eterologa è proibita in Italia dalla legge n. 40/2004, su cui andammo, anzi non andammo a votare al referendum. In altri paesi è ammessa. Un effetto collaterale è la naturale curiosità dei giovani, i quali scoprendo di non essere nati dallo sperma del padre, desiderano conoscere la persona erogatrice del fluido seminale. Arriva dal Quebec il film in lingua francese STARBUCK – 533 figli e... non saperlo del regista Ken Scott. David Wozniak è un quarantenne con difficoltà di relazione. La famiglia è di origine polacca, il padre di David si è trasferito in Canada da giovane. Ora ha un’avviata macelleria di discreto successo ma David è la classica pecora nera della famiglia. Ventenne per procurarsi dei soldi (scopriremo in seguito a fin di bene) David si è offerto come donatore di sperma. E poiché aveva bisogno di tanti soldi, e poiché il suo seme era di ottima qualità, anche le donazioni furono numerose. Dopo venti anni scoprirà di essere padre di 533 figli, di cui oltre un centinaio sono curiosi di conoscerlo e per questo hanno intentato una causa legale. La trama potrebbe apparire come quella di un film americano con Ben Stiller, in realtà siamo di fronte a una storia tenera e dolce. È l’esito della volontà del regista, il quale punta sull’integrità e sulla penetrazione, addirittura nell’animo di uno sfaccendato, dello spirito paterno. Si comincia con un giovane David presso la clinica. È invitato in una stanza vuota, gli consegnano delle riviste porno e un vasetto dove deporre il frutto della sua attività onistica. David si lancia in una masturbazione nevrotica, segue varie velocità, ha delle problematicità iniziali, poi finalmente riesce nello scopo. Il passo successivo è il David attuale. Una casa piena di simboli infantili: statuette di calciatori, maglie, foto di una ragazza, dischi, palline, marijuana. Non è cambiato, nonostante l’età, è ancora un immaturo. Quando scopre di avere tanti figli, ha un primo momento di paura e il desiderio di negare. Successivamente prevale la curiosità. Uno a uno comincia a incontrarli. Se il primo lo esalta perché è il giovane campione della squadra di calcio locale, poi scoprirà le mille sfaccettature della vita. Su questo tema punta il linguaggio del regista. Pure avendo 533 figli, affronta delle individualità ognuna differente dall’altra, per un indecifrabile mistero della vita. I ragazzi sono diversi. Oltre il giocatore famoso, c’è il barista aspirante attore, l’artista di strada, il ragazzo gay con svariati fidanzati ma c’è pure la drogata, l’emo e soprattutto il ragazzo disabile rinchiuso in una casa di cura. Il regista ci consegna una sequela di tatuaggi dei ragazzi, ognuno ha il proprio stile: Bhudda, Yin e Yang, l’animale. Oppure la diversa maniera di abbracciare, tanti modi difformi per esprimere il medesimo sentimento. Il film punta sulla diversità. Se l’esame del dna mitocondriale ci ha portato in un unico punto di partenza in Africa, perfino lo sperma del povero David porta i ragazzi a un’origine comune ma con svariate differenze. Il tutto è girato senza la ricerca di una facile comicità. Impiega una tenerezza di fondo, una sensibilità umana e una commozione crescente, con la consapevolezza della paternità base essenziale dell’esistenza. C’è divertimento come con l’amico avvocato. “Riprodursi è un errore” afferma senza dubbio a David mentre uno dopo all’altro arrivano i tanti figli. Oppure quando un serio David urla alla fidanzata: “Ti convincerò che sarò un padre degno di quel bambino” mentre goffamente gli esce la catena nella bicicletta. Oppure come la partita di calcio con Antoine, il ragazzo emo, la sola persona a scoprire la verità in anticipo sugli altri: “Voglio tenerti solo per me”, eppure avrà una mega famiglia con oltre cinquecento fratelli.