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Cosa fare a Denver quando sei morto - Things to do in Denver
Anno: 1996
Regista: Gary Fleder;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 06-03-1998


Things to Do in Denver When You're Dead (Cosa Fare a Denver Quando Sei Morto), di Gary Fleder. Sceneggiatura, Scott Rosenberg. Con Andy Garcia, Steve Buscemi, Christopher Walken, William Forsythe, Bill Nunn, Fairuza Balk. Usa, 1996.

L'ex gangster Jimmy Il Santo (Andy Garcia) vive onestamente, dirigendo la sua agenzia di video-messaggi per malati terminali, quando il suo ex-boss Christopher Walken lo convoca per affidargli un lavoro. Suo malgrado, Jimmy deve accettare. E per portare a termine il compito tutto sommato semplice mette insieme una squadra di ex-colleghi male assortita. La missione finisce tragicamente ed i cinque si trovano sulla lista nera del boss. "Cosa Fare a Denver Quando Sei Morto" è spiazzante: è come se il regista, avendo tra le mani la sceneggiatura di una black-comedy, avesse voluto ricondurla, nel realizzarla, agli stilemi e alle atmosfere di un noir tradizionale. Mezzi sproporzionati, esagerati, rispetto al fine da conseguire, e situazioni improbabili inanellate secondo una logica inverosimile, vissute da personaggi dai tratti grottescamente stereotipati e con una gran voglia di sparare la battuta memorabile prima di uccidere o di essere uccisi: il materiale per creare l'ormai consueto pastiche nero, fatto di ibridazioni di generi e di toni ed atmosfere mutanti, c'era tutto... Ma Fedler, al suo primo lungometraggio, ha optato per un taglio insolito: ha impresso un rallentamento al ritmo narrativo, dilatando le pause, non temendo i silenzi, concedendo spazio a tempi apparentemente morti. Il senso di ineluttabilità conseguito è da noir classico: non siamo nei territori tragicomicamente flamboyant dominati dal Caso e dalla inspiegabile Coincidenza della black-comedy, ma in quelli più cupi ed opprimenti del Destino segnato a cui non si sfugge - mirabilmente concretizzato dal personaggio del boss, un monolitico Walken dagli occhi di ghiaccio, gelidi e liquidi, paralizzato ed immobilizzato su una sedia a rotelle, ma dotato di tale potere da rappresentare la Volontà allo stato puro: attraverso la semplice parola, ogni sua pianificazione dei destini delle vittime diviene ordine e si realizza, senza possibilità di ritrattazioni né di compromessi. In questo (pre)ordinato scenario a sensi unici, in cui non esistono punti di fuga né zone franche, in cui ogni inquadratura è studiata come un quadro già visto esattamente come la storia del Santo e dei suoi compari è già stata raccontata infinite volte dalla voce narrante dell'uomo al bar (tanto da assumere i contorni di una parabola morale e non più quelli dell'aneddoto)... su questa scacchiera a mosse obbligate agisce il Santo: seminarista a cui è venuta meno la vocazione, gangster ed infine impresario speculatore su mali incurabili, Jimmy trascorre la vita a contatto con la morte, ne fa un business (prima illecito, poi lecito), ci convive, la sfida fino all'ultimo, ed infine la ricerca accettandola come un martirio necessario, logica conclusione e completamento del proprio percorso e della partita. (Il tasso di intimità tra il Santo e la Morte è tale che l'ex-gangster ne ha assunto i modi untuosi, silenziosi, lenti, tanto da imprimere ad ogni gesto un'aura di ritualità.) La guerra che si disputa tra il Santo e il Boss, è la guerra dagli esiti scontati che conduce il singolo contro il Destino: Jimmy tenta di mutare l'ordine delle cose dettato dalla volontà del Capo, cerca di salvare la vita dei compagni a dispetto della condanna firmata dal boss.... e per farlo, sfrutterà la sua capacità di convivere con la morte. La sua sconfitta sarà solo apparente, ed otterrà una immortalità a più livelli: attraverso un figlio che donerà ad una ragazza, attraverso l'amore con cui sarà ricordato da una seconda donna, attraverso il racconto dai toni leggendari che si farà della sua storia... e soprattutto riuscirà a sconfiggere il destino in un'altra dimensione, ricongiungendosi con i compagni: una gang di fantasmi in eterna crociera sul panfilo dei loro sogni di galeotti, che in vita mai si sarebbero potuti permettere (estremo colpo di coda in stile comedy, che ancora una volta Fedler piega alla propria linea piuttosto che allo humour nero). Il risultato dell'operazione condotta dal regista è caratterizzato da una tensione irrisolta: un corpo narrativo fremente, una materia sempre sul punto di esplodere, ma sempre trattenuta in extremis, ricondotta nei binari del genere di appartenenza e al tono competente, senza travalicamenti né eccessi, correndo costantemente il rischio di scadere nel tedioso. Che può essere il pregio del film, o il suo maggiore difetto.