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Il castello nel cielo - Tenkû no shiro Rapyuta
Anno: 1986
Regista: Hayao Miyazaki ;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 24-08-2012


“Per quanto tempo passi, restano sempre dei bambini.” La fantasia estemporanea dei manga racchiude sempre una verità, soprattutto psicologica e sociale degli autori e delle potenti case editrici nipponiche. Essere un manga designer comporta una totale devozione al lavoro. Tanta continua, infinita ripetizione di linee, storie, personaggi; continuamente all’inseguimento delle preferenze del mercato. La produzione giornaliera di manga deve essere enorme perché il consumo di fumetti è stratosferico e non impone pause o abbassamenti di produttività. Hayao Miyazaki è disegnatore, sceneggiatore e regista di fama mondiale. Oltre i suoi film come Ponyo sulla scogliera, è stato regista o coautore di produzioni televisive epiche e immortali: Heidi, Anna dai capelli rossi, Conan, il ragazzo del futuro. Recentemente si è imposto con numerosi premi, come un Oscar e un Leone d’oro alla carriera. Il suo sguardo disegnato è di attenta professionalità; conquistato con un lavoro possente e capace di segnare le generazioni di tanti paesi. L’imprescindibile Heidi, con la mitica governante Signorina Rottenmeier, ha coinvolto tutti nel suo semplice sogno di vivere con il nonno al di fuori del benessere cittadino. Dopo la seconda guerra mondiale il Giappone era una nazione di orfani, questi dovevano cavarsela da soli, lottare impauriti nella misera. La conseguenza era immaginare dei sogni semplice altrimenti sarebbero stati castrati nell’affrontare la misera attività quotidiana. Il sogno fantastico, l’utopia infantile del Il castello nel cielo è uno dei più comuni nei bambini: volare. Nella pellicola vola un’intera isola; un’isola misteriosa, affascinante, piena di segreti, di cui tutti narrano, ma pochi hanno visto. E l’isola di Laputa. Sheeta è una ragazzina orfana, carina e gentile. Per fuggire dalla caccia dei pirati cade da un apparecchio volante sulla terra. Ad aiutarla sarà un altro orfano, un vivace e spigliato ragazzino Pazu. L’incontro fra i due è obbligatorio. Sheeta porta con sé il segreto dell’isola di Laputa. L’isola e tutti i misteri contenuti sono una preda ricercata da tanti. Da una parte militari, servizi segreti e uomini di potere, dall’altra moderni pirati alla ricerca del tesoro. La presentazione militaresca, molto irriverente, é uno dei punti di forza del film. Tutta la storia si basa sulla relazione di amicizia fra i due bambini soli e senza genitori, e quella successiva con i pirati. Ma soprattutto dentro i bambini c’è il desiderio di materializzare il loro sogno, la loro voglia di scomparire dalla tragica realtà e di realizzare una vita piena e migliore. Poiché la realtà non gli appartiene, possono solo costruire un mondo sognato sopra di noi. Un’isola fantastica, vista come un universo migliore in cui si vorrebbe vivere. Il disegno della storia è quella di un classico manga. Tanti volti simili ma immensi e riempitivi, con leggeri movimenti della bocca e degli occhi. L’espressione dei sentimenti avviene con gesti minimi e la lettura è sempre da sinistra a destra. La storia ha una sua velocità, accompagnata da battaglie con i militari, di scorribande dei pirati e la finale lotta per la conquista dell’isola. Tutta la frenesia copre l’ansia di amicizia, e lo struggimento a riempire quel vuoto. Il bambino Pazu è divertente, coraggioso. La sua precedente esistenza è quella di aiuto dell’aiuto dell’ultimo di una povera miniera. Non ha speranze, allora comprende di aggrapparsi all’unica persona più simile a lui: la simpatica – un po’ Heide – Sheeta. Il film racconta un sogno, classico e appartenente alla tradizione giapponese. I cambiamenti e le chimere poi confluiscono nella vita normale e rientrano nella grande tradizione di un popolo. Hayao Miyazaki ci consegna una grazia infantile sia nel tratto sia nella sua analisi visiva. La paura segnata da ricchi primi piano, le ombre immense nascoste nella miniera, il sogno primordiale del volo materializzatosi addirittura nell’isola volante, il robot antimilitarista sopravissuto come il soldato Hiroo Onoda nelle Filippine, tutto ci crea il desiderio umano di potersi affermare in un mondo migliore. Tanto più il nostro destino è stato infame, tanto più abbiamo diritto di sognare ed appellarci al cielo. PS: La portaerei volante di The Avengers non è la rappresentazione moderna dell’isola di Laputa?