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Margin Call
Anno: 2011
Regista: J.C. Chandor;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 03-08-2012


“Fanculo le persone normali.” Se dispongo di euro 1.000 e voglio fare un investimento in dollari americani, oggi posso comperare USD 1,218,00. Devo solo aspettare le variazioni del cambio. Quando l’orizzonte temporale del mio investimento è finito ordino la vendita. Se il dollaro si fosse rivalutato del 10% io guadagnerei euro 100, se al contrario il dollaro si fosse svalutato del 10% io perderei euro 100. Semplice, chiaro e senza problemi. I soldi sono i miei e io scelgo come collocarli. Però il mondo della finanza si è evoluto all’inverosimile e con la stessa cifra potrei sconvolgere, se non il mondo economico, sicuramente la mia vita economica. Quindi, in alternativa all’investimento diretto, descritto prima, potrei utilizzare uno strumento sofisticato di strutture di derivati. Con i miei euro 1.000 potrei disporre di un prodotto a leva – ad esempio 1:10 - sempre in dollari americani. In questo caso io non acquisto i dollari in modo diretto, ma stipulo un contratto di impegno a scambiare a scadenza un importo di 10.000 dollari americani. Io mi limito a effettuare un deposito (i miei euro 1.000) al broker a garanzia dell’operazione, senza pagare nulla. Con tale prodotto se il dollaro si rivalutasse del 10% io guadagnerei euro 1.000 (vale a dire il 100% della somma messa a disposizione). Se invece il dollaro si svalutasse del 10% io avrei perso tutto il mio capitale, cioè i miei euro 1.000. Se il mercato avesse un andamento negativo, ad esempio, se il dollaro si svalutasse del 20%, io avrei una perdita di euro 2.000, cioè oltre i miei risparmi. A questo punto il mio trader mi chiederà un margin call, vale a dire coprire immediatamente il differenziale, altrimenti potrebbe eseguire una forzata estinzione del contratto. Margin call, titolo enigmatico per gli inesperti in economia, del film di J.C. Chandor. Il funzionamento dell’economia è diventato molto capzioso e matematico. I prodotti a leva sono soggetti a degli algoritmi studiati da esperti di matematica, proprio per accrescere l’importo dei profitti con il minor deposito possibile. Per le persone normali, facilmente suggestionabili dall’inquadramento dottrinario e superficiale di molta stampa, possono essere comparati alle armi chimiche di Assad. In realtà hanno aiutato a rendere la finanza più raffinata, salvo usi proibiti da parte di malavitosi, aiutati da legislatori incapaci di progredire nel tempo. Scena di apertura: New York si sveglia, ripresa da un’immagine concava, dentro c’è già tanto frenetico movimento. Entriamo in un grattacielo, quelli zeppi di uffici. La vita è irrequieta, ansiosa. Entrano marzialmente un gruppo di tagliatori di teste. La crisi ha già colpito, hanno necessità di eliminare del personale. Non si guarda in faccia a nessuno, pure importanti dirigenti con grandi guadagni sono inclusi. Fra questi c’è Eric, il quale stava lavorando su un progetto di analisi dei rischi della società. Non sappiamo nulla della Company: ha uffici in tutto il mondo, ha migliaia di dipendenti, gira miliardi di dollari. Ma non vediamo gente lavorare, trasportati manufatti, spedire merce, bensì solo decine di traders affaccendati nell’acquistare e nel vendere. Ma cosa acquistano e cosa vendono? Soldi E come hanno basato la costruzione dei prodotti monetari? Con un algoritmo finanziario. Dopo un inizio brillante e veloce, sia per tempistica sia per dialoghi, il nucleo centrale del film si svolge dopo la chiusura degli uffici. Un giovane brillante matematico dell’azienda, partendo dal lavoro incompiuto di Eric, si accorge di qualcosa di strano nell’algoritmo: il conteggio è sbagliato. La società ha investito miliardi basandosi su quel calcolo e ora, senza saperlo, si trova ad aver superato i livelli di non ritorno. In mano hanno prodotti finanziari senza valore, la perdita della società è superiore al capitale. E qui inizia una corsa umana a comprendere e a studiare cosa fare. È un percorso ad accumulo perché da un solo ragazzo, nel vuoto dell’ufficio, ci sarà un susseguirsi di arrivi al capezzale della società. Si parte dagli scagnozzi più giovani e si arriva allo spettacolare ingresso, con processione al seguito, del top manager John Tuld interpretato da Jeremy Irons. Il film ha una struttura giornaliera, tutto si svolge in ventiquattro ore, soffermandosi principalmente durante la notte. È una notte spettacolare quella di New York, dove l’agitazione delle persone è convulsa pure alle due. L’oscurità è lampeggiata da una miriade di luci sparate, deformate, riflesse. Nell’atmosfera della notte vediamo un mondo senza limiti, agitato, nevrotico, soprattutto, incapace di comprendere gli avvenimenti in contemporanea nella City, quando, un manipolo di manager potrebbero con il loro comportamento mettere a rischio il benessere e l’esistenza di tanta gente ignara. Un gruppo di questi dipendenti si troverà, in un momento di pausa, in cima al grattacielo ad osservare New York: “che città pazzesca.” Fumano, si rilassano, si confessano, mettendo a luce le loro debolezze. Perché il film è una storia di gregari, di piccoli membri della società. E vero arrivano anche i top; persino loro sembrano avere qualcuno più in alto, di inarrivabile: infatti, hanno bisogno di una vittima da sacrificare al board – al consiglio di amministrazione. Tutti si affrontano, raramente in modo corale, ma soprattutto mischiando le coppie. Come in tanti duelli si affrontano uno con l’altro, parlano, si sfidano, cercano conforto. Abbiamo tante scene frammentate, composte di persone con un vitale desiderio di comunicare. Al regista piacciono i primi piani, tanti, compatti, soprattutto ripresi leggermente dal basso mostrando un loro attimo di debolezza. Ma soprattutto J.C. Chandor vuole confortarci spostando il nostro credo al grande complotto, da cui sono escluse le persone normali, le quali sono solo delle vittime senza responsabilità. Emblematica la scena dell’ascensore. Dentro c’è la donna delle pulizie. Entrano due manager. La donna in mezzo. Ora tutti e tre sono ripresi in campo medio, di fronte alla camera. I due cominciano a parlare, all’inizio si osservano e hanno un dubbio, come a chiedersi se la signora potrebbe capire le loro argomentazioni. Poi afferrano che l’ispanica probabilmente non conosce neppure l’inglese. Allora iniziano, con lei incredula al centro, una discussione con conseguenza una probabile estinzione dell’economia mondiale. Il simbolismo delle persone impegnate nei lavori manuali quotidiani schiacciati dall’incomprensibile dialettica dell’economia. Ma c’è altro. Il capo dei traders è Sam interpretato da Kevin Spacey. Lui di economia, grafici, tassi, derivati non sa nulla. E non gli interessa saperlo. Lui è un tipico commerciale. Lui sa comunicare, ha carisma, è accattivante con i propri subalterni. Appena dopo il licenziamento di tanti colleghi entra in scena; raduna i sopravvissuti e appare applaudendo. Inizia la solita filastrocca: quelli rimasti sono i migliori e loro devono saperlo, perché devono essere motivati per svolgere anche il lavoro dei segati. Sam è il più sofferente. Soffre di atroce solitudine, e nel momento drammatico, alla domanda come si sente risponde: “Il mio cane sta morendo.” È distaccato e il regista ci riporta simbolicamente il dramma quando, in dissolvenza, alterna il ragazzo mentre sta per accorgersi dell’errore dell’algoritmo con Sam, il quale abbraccia il cane morente. C’è un parallelismo per il cane e la società: la fine è in arrivo. Lo scopo del regista è accusare gli squali della finanza, però … A differenza del mitico Wall Street di Oliver Stone, il film si basa su strutture frammentate, costruite principalmente dai subalterni, con una ricchezza di dialoghi intimistici e depressivi. Mentre il Gordon Gekko è totalmente discorde da John Tuld. Il secondo è freddo e asettico, non ha la cattiveria artistica dell’uomo di Oliver Stone, appare più finto, edificato senza convinzione. Gekko ha una sua umanità, è un filosofo, cita L’arte della guerra di Sun Tzu, mentre Tuld è prigioniero di qualcosa di non umano. Il film è ben recitato e realizzato sapientemente con suspance, perché i motivi del contendere, gli avvenimenti futuristici sono ignoti e raccontati in modo molto enigmatico. Anche i top manager pregano di usare un livello basso. È molto bello la costruzione ad accumulo fra i tanti personaggi in arrivo del palazzo. Nel vuoto della notte degli uffici, l’oscurità avvolge tutto, mentre il colore degli schermi dei computer dei traders rimasti accesi, con i loro grafici, quotazioni, report illuminano le tenebre. Si accentua la solitudine dei personaggi, anche loro inghiottiti da questo mondo infame. Il film si conclude con il suono della campanella della borsa di Wall Street. Alcuni divertenti particolari. La psicologa invita, il neo licenziato, a mostrarsi positivo e gli porge una rivista dal titolo “Looking ahead”. Il tormento del giovane dipendente – di ventitre anni – ossessionato dalla brama del profitto e del denaro. Per tutta la durata della storia sarà una continua mania di chiedersi “quanto guadagna?” per ogni persona. Passi per capi, ma chiedersi in uno strip bar “quanto guadagnerà a serata?” di fronte ad una bella e discinta ballerina indica un livello di morbosità nei confronti della moneta esagerata.