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Fan Chan – My Girl
Anno: 2003
Regista: Vitcha Gojiew; Nithiwat Tharathorn; Witthaya Thongyooyong; Adisorn Trisirikasem; Komgrit Triwimol; Songyos Sugmakanan;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Thailandia;
Data inserimento nel database: 31-05-2012


“I want to tell you, it’s my first love.” I film nascono nel modo più strano. Alcune sono opere costosissime prodotte da mayor, altre uno stimolo a depauperare la finanza pubblica come per molte produzioni italiane, altre sono delle masturbazioni in sale deserte di vanitosi e solitari autori. Altri film invece partono come un gioco goliardico fra dei sodali amanti del cinema, con una traboccante congenita bramosia di raccontare una storia. Esempio edificante è il film tailandese Fan Chan (in inglese My Girl). Sei amici, compagni all’università di Bangkok, amanti del cinema si riuniscono e coodirigono questo arguto e consolante racconto. Da una scommessa universitaria nasce, nel 2003, il maggior successo di incasso per una pellicola tailandese, record ancora detenuto con oltre 140 milioni di bath. I registi sono: Vitcha Gojiew, Nithiwat Tharathorn, Witthaya Thongyooyong, Adisorn Trisirikasem, Komgrit Triwimol e Songyos Sugmakanan. Solo quest’ultimo ha continuato una carriera cinematografica di successo alla guida, fra l’altro, dello spiritistico Der Hor (Dorm) e lo scorso anno di Top Secret: Wai Roon Pun Lan, storia di un giovane arrivista giunto al successo con la vendita di discutibili snack alla catena di negozi 7eleven. Siamo nel 1980 a Phetchaburi, una città della Thailandia, un incrocio tra la grande città Bangkok e la profonda campagna del nord. Il paese è animato da tanti vivaci ragazzini. Come ovunque al mondo vanno a scuola, giocano e si divertono. La storia parla del maschietto Jeab, il quale è molto amico della ragazzina Noi-Naa. Hanno molto in comune: entrambi i padri sono barbieri. Vivono nella stessa casa al cui pianterreno ci sono le barberie dei genitori, divisi da un negozio di drogheria. La storia è formativa e semplice, come deve essere la vita dei bambini, con il loro perpetuo tentativo di crescere, di conoscersi. Jeab vorrebbe avere dei amici del medesimo sesso, per poter fare cose da maschi, come giocare a calcio, atteggiarsi da bullo, pisciare in gruppo. Invece non è accettato subito dai suoi compagni di classe. La storia è, infatti, arricchita da una composita combriccola di eccentrici e variopinti ragazzi. I bambini sono il carburante della pellicola. Sono loro gli esseri dominanti in una società cresciuta rapidamente ma con il rischio di produrre delle vittime nella tradizione e nella cultura. Ma l’amicizia resiste, imperturbabile, indistruttibile, aleggiando indifferente sopra il trascorrere del tempo, non minata dal presentarsi dei primi segni di maturità, e dai crescenti impegni sociali. I registi utilizzano il flash back per accentuare il tono malinconico, è al presente solo l’inizio e la conclusione. Nella capitale Bangkok, l’ancora giovane Jeab è diventato un uomo, con il suo lavoro, i suoi amici. Quando giunge il richiamo della antica amicizia, della nostalgia del tempo trascorso lungo la strada di un paese distante, la voglia di ritornare prevale. Il cambiamento temporale avviene in macchina, mentre Jeab ascolta un vecchio cd. La canzone della sua infanzia è utilizzata come marchingegno per far catapultare la sua memoria, il suo ricordo, la sua nostalgia a quando era un fanciullo. Per tutta la durata della storia, i registi scherzano ma riuscendo a incantare con una miriade di trovate. I genitori con i negozi in orizzontale alla scena, inquadrati in campo lungo, si combattono i clienti: uno è considerato moderno, usa rigorosamente solo pettine e rasoio e l’altro – chiamato l’artista – usa rigorosamente solo pettine e forbici. Ma il risultato dei tagli sui loro clienti è uguale per entrambi. La via delle due botteghe è la linea simmetrica del film, sul quale tutto si svolge, si gioca, ci si diverte e si soffre. La camera ha lo stesso funzionamento nei mattutini inseguimenti al pullman della scuola. Jeab è in costante ritardo, e tutte le mattine costringe il padre ad inseguire l’autobus con la moto. Nel tragitto abbiamo tutti i colori della Thailandia, il verde della foresta e il giallo dell’albero, dove si conclude il tallonamento, su cui è centrata l’immagine del consueto campo lungo. Jack è un ragazzino cicciotello, un po’ sbruffone e senza voglia di studiare, è più grande degli altri amici, ma – costantemente bocciato - è raggiunto nella classe 4: i registi tratteggiano il suo sorpasso con tante scene collegate in dissolvenza giocando con il suo diverso comportamento a secondo della classe in cui si trova. C’è poi la burlesque parodia del cinema wuxiapian. I ragazzini mascherati da combattenti cinesi giocano come degli eroici guerrieri, dove possono perdere la gravità e combattere in aria. In realtà questa nobile visione è trasfigurata nella mente fantastica di Jeab, mentre osserva gli amici, desideroso di potersi aggiungere a loro. Per ottenere la loro accettazione è disposto a rischiare in sfide impossibili. Perché è l’unione a vincere, l’amicizia virile è descritta varie volte con ricreativa tensione: come quando il gruppo dei bambini in bicicletta cantano in coro o come su uno sfondo di un sole calante i ragazzini pisciano all’unisono o come insieme aiutano Jeab nello spericolato tentativo di raggiungere la sua amica. Inoltre il film sa essere geniale con un tono soffice e ironico. Nella partita di calcio il portiere/bambino è impegnato al fischio iniziale nella recita della sua preghiera al palo della porta e i suoi avversari ne approfittano segnando un goal alquanto sportivamente scorretto. È il linguaggio del ricordo a prevalere, con le sue indelebili gioie, i suoi infantili drammi, momenti incancellabili per i suoi protagonisti. Perché l’amicizia è perpetua e corrente nonostante la distanza fisica. Sono due i topos: i bambini e la musica. I bambini sono primari nella scena e nella vita. Sono ripresi al centro con sfondo sfuocato per accentuare il protagonismo, oppure sempre centrali circondati dal verde della foresta, oppure con le lacrime agli occhi come la ragazzina spinta dal suo amico del cuore. La musica è utilizzata all’inizio come formula magica per riportare il cuore nel passato e teletrasportarsi fisicamente nel paese natio, ma le canzoni continuano – come è consuetudine delle produzioni tailandesi – e dettano il ritmo dei sentimenti e delle passioni. Questo frammento di mondo, questo nucleo di case, baricentro dell’esistenza della piccola città si concluderà con il trasloco della famiglia di Noi-Naa. Simbolicamente la pace avviene con un gesto di umiltà e di amicizia. La sera prima di partire il padre della ragazza bussa alla bottega del suo concorrente di una vita per chiedergli se possa tagliargli i capelli. Con quel taglio, certamente non alla moda, si conclude un’epoca, un piccolo mondo. Raccontare una storia di amicizia non è un’operazione semplice perché c’è il rischio di cadere nel melenso e nel sentimentalismo. L’amicizia regnava nel gruppo di studenti/registi durante il loro lavoro, e da questo sentimento nasce l’antidoto dell’ironia e della purezza, utilizzando come sfondo un mondo quasi rurale ma semplice e ricco; un mondo dove se la maestra picchia lo studente perché non ha fatto i compiti, il dialogo fra madre e figlio è deciso ed educativo: “… and your teacher hits you … “ “I know, you’ll hit me twice over.”