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Super 8
Anno: 2011
Regista: J.J. Abrams;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 22-09-2011


“Noi non siamo mai d’accordo su niente.” Lillian è una bella e serena cittadina americana, con tante graziose villette, strade ampie e pulite. Siamo negli anni settanta. Le sensazioni di calma e tranquillità nel cinema sono sinonimi di tragedia imminente. Se per la città ci sarà un crescendo di sventura, il dramma Joe è già avvenuto. E’ ancora un bambino e si trova a convivere, con il padre, il dolore della recente morte della madre in un incidente di lavoro. Un gruppo di ragazzini stanno registrando un film sugli zombi da presentare ad un festival e Joe è il truccatore. Alla regia c’è un altro ragazzo dispotico ed autoritario. Il disastro incombente inizia con un fantasmagorico e sfavillante incidente ferroviario, casualmente registrato dai ragazzi durante una delle loro riprese. Con queste tre linee guida - il dramma di Joe, la produzione del film e l’incidente ferroviario - si delinea e si costruisce tutta la struttura della storia. Il film non sbaglia strada, si mantiene diritto verso la sua metà. Non ci sono sbavature: fotografia, musica, effetti speciali sono tenuti sotto controllo nell’interesse della storia. Il crescendo del racconto è pari passo con l’apparizione della creatura. All’inizio di lei non vediamo nulla, solo dei rumori, per poi gradualmente individuare l’essere, fino alla sia totale apparizione nella sua attività di bricolage. Certo l’incidente ferroviario all’inizio poteva già uccidere la storia per la sua esagerata spettacolarità, però non avviene perché il livello di sceneggiatura si mantiene sobbalzante ma coerente. Per dare sicurezza la produzione del film si sofferma su infinite citazioni cinematografiche: ET, Alien, King Kong, Transformer, l’indimenticabile Stand By Me, ovviamente gli zombi di Romero. Aggiungiamoci un po’ di Shakespeare per l’amore contrastato dalle famiglie. Tutti questi elementi ci danno protezione e abile solidità. Però aggiungerei alcune chiave di lettura diverse. L’amore per il cinema. Questi ragazzi sono tutti impegnati a lavorare per la realizzazione del loro film. Scoprono la difficoltà del mestiere, i mille ostacoli da affrontare. Ecco apparire la dissacrazione; sullo sfondo del dramma e delle violenze, loro registrano le loro scene, sfruttando la realtà del treno distrutto e dei soldati in assetto di guerra. Il cinema è finzione, ma chi finge? I ragazzi oppure la realtà? Il secondo aspetto è il dramma psicoanalitico di Joe. Tutto sembra finire ad un bambino a cui muore la madre. Dentro di lui nascono e crescono delle sensazioni inconcepibili ed indescrivibili. Da fuori è impossibile identificare e comprendere le emozioni del bambino. Il mostro del treno ed il mostro di dolore dentro Joe sono paralleli, crescono unitamente. Tutto potrebbe essere una sua visione, una sua proiezione, una elaborazione drammatica del dolore. Il mostro potrebbe essere unico, vivere dentro di lui ed alimentarsi nel suo dolore. Ritorniamo al grande problema della morte e della sua difficile comprensione per i bambini. Sarà il regista con i tanti e commoventi primi piano del ragazzo, a rappresentare Joe come chiave di svolta di tutto. E’ lui ad occupare la scena, è lui ad avere il coraggio di affrontare il pericolo. Non sarà solo, perché al linguaggio del film si aggiunge una dose di ironia tipica dei ragazzi. Molto bella la scena iniziale. In una fabbrica un cartello indica 729 giorni senza incidenti sul lavoro. Un operaio sale su una scala toglie i numeri precedenti e lo sostituisce con il numero uno. Senza nessuna parola comprendiamo la disgrazia.