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Cold Comfort Farm
Anno: 1996
Regista: John Schlesinger;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 06-03-1998


Cold Comfort Farm, di John Schlesinger. Sceneggiatura, M. Bradbury. Dal romanzo di Stella Gibson. Con K. Beckingsale, E. Atkins, I. McKellen. G.B., 1996. Dur.: 1h e 45'.

Prima documentarista televisivo, poi vicino al "free cinema" britannico (seconda metà degli anni'50, anni '60) con opere documentarie come "Terminus" (1961) o narrative come il corrosivo "Billy il bugiardo" (1963) o l'intenso affresco di "Domenica, maledetta domenica" (1971), John Schlesinger, spostatosi negli Stati Uniti, ha poi cercato di coniugare contenuti complessi, approccio critico e spettacolarità. La sua ricerca ha portato a lavori riusciti e di grande successo come "Un uomo da marciapiede" (1969) o "Il maratoneta" (1976); ma anche a risultati più corrivi come "Yankees" (1979), "Madame Sousatzka" (1988), "Uno sconosciuto alla porta" (1990), "The innocent" (1993)... Autore prolifico, tra alti e bassi, ha affrontato il cinema di genere a trecentosessanta gradi, muovendosi tra il melò e il thriller, la spy story ("Il gioco del falco", 1985) e l'horror ("The believers. I credenti del male", 1987) restando legato alla Gran Bretagna per i lavori di regia legati all'opera ("Offenbach. Les Contes d'Hoffmann", 1993; "Strauss. Der Rosenkavalier", 1985). Nel '96 torna in Inghilterra per dirigere nuovamente fiction: "Cold Comfort Farm", dal romanzo autobiografico di Stella Gibson.

Anni '30. La bella, giovane e raffinata londinese Flora Poste alla morte del padre si pone due obiettivi per il futuro: farsi ospitare e mantenere da qualche parente; ed esordire a 53 anni come scrittrice (modello di riferimento, Jane Austen). Nei trent'anni che la separano dal programmato esordio sulla carta stampata, si propone di attingere materiale dalla vita stessa. In questa prospettiva, tra le varie ed insincere offerte di ospitalità dei parenti, opta per quella meno attraente e più misteriosa; si trasferisce, dunque, in piena campagna, nell'est-Sussex, nella "Fattoria Scomoda". Definire semplicemente "scomoda" la residenza degli zii è un complimento: è piuttosto un letamaio eletto a dimora. E chi vi abita ne è il riflesso speculare: abbrutimento allo stato puro in stile medioevale. Famiglia matriarcale dominata dalla tetra figura della Nonna, la comunità della Scomoda vive come sotto una maledizione (cosa di cui tutti i membri sono convinti) in un immobilismo autolesionistico dettato dai sermoni deliranti di un predicatore savonaroliano, da una parte, e dai cupi incubi-ricordi d'infanzia dell'ava che sibilano come profezie di non-si-sa-cosa, dall'altra. Clima grottesco-orrorifico, con tanto di porte che cigolano e misteriose ombre dietro alle finestre lerce, che accoglie, tra scorbutica diffidenza e gretto timore dell'abbandono delle tradizioni (anche di quelle più deleterie), la leggiadra ed eterea Flore. Ed effettivamente c'è di che temere, quando una Flore ti piomba in casa: il suo hobby è riordinare le vite altrui. Ed è esattamente ciò che fa, mettendo in atto un piano di riorganizzazione globale di usi, costumi e sentimenti; individuati i punti deboli di ciascun componente del nucleo, tramuta le buone maniere in un grimaldello per farne saltare, uno dopo l'altro, i sistemi di difesa e stimolarne le ambizioni. In un regno di tenebra, Flore è come una fata gentile che riesce a far emergere il lato migliore e buono da ogni cosa e persona: il giardino torna fiorito, i protagonisti si fanno finalmente un bagno, il grigiore e la polvere sono spazzati via, il sole torna a splendere. Flore è il simbolo della sana e un po' sognatrice voglia di ribellione, che non attecchisce solo nei giovani, ma risveglia anche le energie e le ambizioni dei vecchi. Il suo operare al fine di sovvertire qualsiasi ordine sfonda le stesse divisioni sociali, tanto da riuscire ad organizzare il matrimonio tra il giovane rampollo dei nobili della contea e la propria cugina vagamente sciroccata che vive come un elfo, immersa nella natura declamando versi al sole e alle piante. Non solo un'atmosfera fiabesca, ma una vera e propria favola che Schlesinger narra con tocco leggero, alimentando al contempo una vena satirica che riscatta "Cold Comfort Farm" dal semplice divertissement. Senza dubbio una delle prove migliori tra le recenti realizzazioni del regista.