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Il coltello nell’acqua - Nóz w wodzie
Anno: 1962
Regista: Roman Polanski;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Polonia;
Data inserimento nel database: 22-06-2006


La grande guerra

Il coltello nell’acqua. Roman Polanski. 1962. POLONIA.

Attori: Leon Niemczyk, Jolanta Umecka, Zygmunt Malanowicz

Durata: 94’

Titolo originale: Nóz w wodzie

 

 

Una coppia, composta da un marito giornalista sportivo e da sua moglie, e diretta al lago di Masuria per trascorrere il weekend a bordo della propria imbarcazione, carica in macchina un giovane autostoppista. Andrzej e Cristina, questi i loro nomi, lo invitano a trascorrere il weekend con loro sulla barca ed il giovane accetta. A bordo però Andrzej comincia sin da subito a comandarlo e quando i due uomini si trovano costretti a trainare la barca attraverso un canneto, il giovane è tentato dall’abbandonarli, ripensandoci solo quando è Cristina ad offrirsi al suo posto. Tra i due maschi c’è sempre aria di confronto, tesa, soprattutto perché entrambi ostinati a difendere i loro modi di vedere le cose. Quando la barca incomincia a filare sulle onde tirata dal vento, il ragazzo incomincia ad apprezzarne il lusso, ma una forte pioggia li investe e i tre sono costretti a spingere la barca di nuovo in un canneto per non correre rischi. Sottocoperta giocano a Shangai, Andrzej ascolta alla radio un incontro di boxe, Cristina canta una canzone ed il ragazzo recita una poesia. I tre si addormentano e smesso di piovere Cristina ed il ragazzo si ritrovano all’esterno a parlare. Quando anche Andrzej, una volta sveglio, li raggiunge, il giovane ha già sostituito la corda che tiene la vela, e sono pronti a partire. L’uomo adulto però ricomincia a dare ordini al giovane il quale, sulla via del ritorno, gli domanda indietro il proprio coltello, che Andrzej gli ha sottratto. Tra i due incomincia una colluttazione che termina con la caduta del ragazzo in acqua. Convinti che quello non sappia nuotare, i coniugi lo credono morto e Cristina ne approfitta per accusare il marito. Ormai non lontani dal pontile, Andrzej abbandona la barca per andare a denunciare la scomparsa del ragazzo alla polizia, lasciando sua moglie da sola. Il ragazzo, che si era nascosto dietro una boa, risale sulla barca e seduce la donna. Poco prima di attraccare abbandona la barca e Cristina raggiunge il marito, fermo sul pontile ad attenderla. Dopo essere tornati in auto, la donna confessa al marito che non c’è bisogno di andare dalla polizia, perché il ragazzo è vivo e lei lo ha tradito proprio con lui. Andrzej dice di non crederle, e l’auto si ferma ad un bivio.

Dopo una lunga gavetta nel realizzare cortometraggi, il giovane Roman Polanski dirige il suo primo (ed unico) lungometraggio nella sua terra d’origine, scegliendo un tema assolutamente incongruo con la natura del proprio paese, come l’acqua. Elemento anarchico per eccellenza (come ricorda Deleuze, sull’acqua è impossibile tracciare una retta tra due punti) il film diventa simbolo di una generazione dalla quale emergono relazioni menzognere (tra marito e moglie), contrasti generazionali (tra i due maschi) e soprattutto un senso d’inquietudine senza via d’uscita (il bivio finale nel quale è fermo il mezzo). A questo punto è lo stesso regista a chiarire il senso di questa scelta, confermando che per la realizzazione del suo esordio in lungometraggio aveva pensato prima di tutto all’ambiente [i], e così al lago di Masuria, e poi ad una trama che gli si addicesse. Egli cioè non ha fatto altro, come i grandi autori, che pensare prima di tutto ad un ambiente originario, ad un mondo delle cose, nelle quali gli oggetti e gli uomini assumono un significato concreto. È un film molto circolare (incomincia con la macchina frontale ed i primi piani dei protagonisti e termina con il campo lungo della macchina da dietro), dal forte impianto teatrale (dramma a tre) ma che gode soprattutto dell’ottimo impianto visivo del regista, che per il suo esordio ha scelto di costruire una storia su un limitato ambiente (quello appunto della barca) vincendo tutte le difficoltà a questa scelta legate (per esempio la soggettiva del ragazzo che chiude un occhio e poi l’altro, oltre che una riflessione sul senso della percezione visiva, è anche un mezzo per concedersi qualche inquadratura in più). La parabola sembra sin troppo chiara: alla fine si tratta della storia di un marinaio che, sicuro di quel che sta facendo, si ritrova invece che gli va male (è il racconto che fa lo stesso Andrzej, non accorgendosi che sta capitando a lui la stessa cosa). È un film dunque sulla distanza dalle cose, dalla realtà (la gita in barca è questo) nella quale s’inserisce un giovane che crede di poter vincere qualsiasi sfida (salire sull’albero maestro come prendere una pentola bollente con le mani) e che invece ha nella figura della donna (furba, e fatale, ai margini della storia per quasi tutta la durata del film) quella di giudice supremo agli eventi (la cultura sovietica, ma più in generale quella dell’Est ha spesso identificato la terra madre con il corpo della donna) capace di controbilanciare ogni azione, e portarla alla propria convenienza. Perse molte tracce di storicismo cui era legata la Scuola Nazionale di Cinema di Lodz (e dalla quale era uscito il regista) il film recupera il suo potenziale critico nell’ambiguità dei personaggi, nello sfondo plumbeo del cielo (cinismo in penombra che con l’episodio della pioggia ne aumenta il carattere asfissiante) e nelle menzogne dei fatti: i due protagonisti maschili si bilanciano, spesso scambiando i ruoli in maniera impercettibile (il gioco del coltello con la mano aperta) ma è nel loro incontro mancato che il regista inserisce la sua storia. Non si tratta più quindi della storia della Polonia, ma della storia dei suoi uomini, e si capisce da subito che per il regista saranno spesso uomini soli, strappati ad un contesto e resi assoluti, silenziosi, distanti dalle cose perché privi di un’umanità che renderà caratteristico il cinema di Polanski. Un film che sebbene costruito in un unico ambiente principale e con solo tre personaggi, non sfrutta l’espediente logorroico dei dialoghi, ma come abbiamo detto, racconta molto anche con le immagini (la corsa del ragazzo sull’acqua). Il film fu sceneggiato anche dal futuro regista Jerzy Skolimowski, il quale partecipò anche al montaggio. Per alcune sottigliezze, il coltello nell’acqua potrebbe corrispondere come versione polacca de L’Atalante (1934) di Jean Vigo, priva di romanticismo e ridotta all’osso (ma anche elevata all’assoluto) nella sua crudezza.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]

 



[i] Stefano Rulli e Fabio De Bernardinis. Roman Polanski. Il Castoro.