Il
coltello nell’acqua. Roman Polanski.
1962. POLONIA.
Attori: Leon
Niemczyk, Jolanta Umecka, Zygmunt Malanowicz
Durata: 94’
Titolo originale: Nóz
w wodzie
Una coppia, composta da un
marito giornalista sportivo e da sua moglie, e diretta al lago di Masuria per
trascorrere il weekend a bordo della propria imbarcazione, carica in macchina
un giovane autostoppista. Andrzej e Cristina, questi i loro nomi, lo invitano a
trascorrere il weekend con loro sulla barca ed il giovane accetta. A bordo però
Andrzej comincia sin da subito a comandarlo e quando i due uomini si trovano
costretti a trainare la barca attraverso un canneto, il giovane è tentato
dall’abbandonarli, ripensandoci solo quando è Cristina ad offrirsi al suo
posto. Tra i due maschi c’è sempre aria di confronto, tesa, soprattutto perché
entrambi ostinati a difendere i loro modi di vedere le cose. Quando la barca
incomincia a filare sulle onde tirata dal vento, il ragazzo incomincia ad
apprezzarne il lusso, ma una forte pioggia li investe e i tre sono costretti a
spingere la barca di nuovo in un canneto per non correre rischi. Sottocoperta
giocano a Shangai, Andrzej ascolta alla radio un incontro di boxe, Cristina
canta una canzone ed il ragazzo recita una poesia. I tre si addormentano e
smesso di piovere Cristina ed il ragazzo si ritrovano all’esterno a parlare.
Quando anche Andrzej, una volta sveglio, li raggiunge, il giovane ha già
sostituito la corda che tiene la vela, e sono pronti a partire. L’uomo adulto
però ricomincia a dare ordini al giovane il quale, sulla via del ritorno, gli
domanda indietro il proprio coltello, che Andrzej gli ha sottratto. Tra i due
incomincia una colluttazione che termina con la caduta del ragazzo in acqua.
Convinti che quello non sappia nuotare, i coniugi lo credono morto e Cristina
ne approfitta per accusare il marito. Ormai non lontani dal pontile, Andrzej
abbandona la barca per andare a denunciare la scomparsa del ragazzo alla
polizia, lasciando sua moglie da sola. Il ragazzo, che si era nascosto dietro
una boa, risale sulla barca e seduce la donna. Poco prima di attraccare
abbandona la barca e Cristina raggiunge il marito, fermo sul pontile ad
attenderla. Dopo essere tornati in auto, la donna confessa al marito che non
c’è bisogno di andare dalla polizia, perché il ragazzo è vivo e lei lo ha
tradito proprio con lui. Andrzej dice di non crederle, e l’auto si ferma ad un
bivio.
Dopo una lunga gavetta nel
realizzare cortometraggi, il giovane Roman Polanski dirige il suo primo (ed
unico) lungometraggio nella sua terra d’origine, scegliendo un tema
assolutamente incongruo con la natura del proprio paese, come l’acqua. Elemento
anarchico per eccellenza (come ricorda Deleuze, sull’acqua è impossibile
tracciare una retta tra due punti) il film diventa simbolo di una generazione dalla
quale emergono relazioni menzognere (tra marito e moglie), contrasti
generazionali (tra i due maschi) e soprattutto un senso d’inquietudine senza
via d’uscita (il bivio finale nel quale è fermo il mezzo). A questo punto è lo
stesso regista a chiarire il senso di questa scelta, confermando che per la
realizzazione del suo esordio in lungometraggio aveva pensato prima di tutto
all’ambiente [i], e così al lago di
Masuria, e poi ad una trama che gli si addicesse. Egli cioè non ha fatto altro,
come i grandi autori, che pensare prima di tutto ad un ambiente originario, ad
un mondo delle cose, nelle quali gli oggetti e gli uomini assumono un
significato concreto. È un film molto circolare (incomincia con la macchina
frontale ed i primi piani dei protagonisti e termina con il campo lungo della
macchina da dietro), dal forte impianto teatrale (dramma a tre) ma che gode soprattutto
dell’ottimo impianto visivo del regista, che per il suo esordio ha scelto di
costruire una storia su un limitato ambiente (quello appunto della barca)
vincendo tutte le difficoltà a questa scelta legate (per esempio la soggettiva
del ragazzo che chiude un occhio e poi l’altro, oltre che una riflessione sul
senso della percezione visiva, è anche un mezzo per concedersi qualche
inquadratura in più). La parabola sembra sin troppo chiara: alla fine si tratta
della storia di un marinaio che, sicuro di quel che sta facendo, si ritrova
invece che gli va male (è il racconto che fa lo stesso Andrzej, non
accorgendosi che sta capitando a lui la stessa cosa). È un film dunque sulla
distanza dalle cose, dalla realtà (la gita in barca è questo) nella quale s’inserisce
un giovane che crede di poter vincere qualsiasi sfida (salire sull’albero
maestro come prendere una pentola bollente con le mani) e che invece ha nella
figura della donna (furba, e fatale, ai margini della storia per quasi tutta la
durata del film) quella di giudice supremo agli eventi (la cultura sovietica,
ma più in generale quella dell’Est ha spesso identificato la terra madre con il
corpo della donna) capace di controbilanciare ogni azione, e portarla alla
propria convenienza. Perse molte tracce di storicismo cui era legata la Scuola Nazionale di Cinema di
Lodz (e dalla quale era uscito il regista) il film recupera il suo potenziale
critico nell’ambiguità dei personaggi, nello sfondo plumbeo del cielo (cinismo in penombra che con l’episodio
della pioggia ne aumenta il carattere asfissiante) e nelle menzogne dei fatti:
i due protagonisti maschili si bilanciano, spesso scambiando i ruoli in maniera
impercettibile (il gioco del coltello con la mano aperta) ma è nel loro
incontro mancato che il regista inserisce la sua storia. Non si tratta più
quindi della storia della Polonia, ma della storia dei suoi uomini, e si
capisce da subito che per il regista saranno spesso uomini soli, strappati ad
un contesto e resi assoluti, silenziosi, distanti dalle cose perché privi di
un’umanità che renderà caratteristico il cinema di Polanski. Un film che
sebbene costruito in un unico ambiente principale e con solo tre personaggi,
non sfrutta l’espediente logorroico dei dialoghi, ma come abbiamo detto,
racconta molto anche con le immagini (la corsa del ragazzo sull’acqua). Il film
fu sceneggiato anche dal futuro regista Jerzy Skolimowski, il quale partecipò
anche al montaggio. Per alcune sottigliezze, il coltello nell’acqua potrebbe corrispondere
come versione polacca de L’Atalante
(1934) di Jean Vigo, priva di romanticismo e ridotta all’osso (ma anche elevata
all’assoluto) nella sua crudezza.
Bucci Mario
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