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La classe operaia va in paradiso
Anno: 1970
Regista: Elio Petri;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 22-06-2006


La grande guerra

La classe operaia va in paradiso. Elio Petri. 1970. ITALIA.

Attori: Gian Maria Volonté, Mariangela Melato, Salvo Randone, Mietta Albertini, Gino Pernice

Durata: 125’

 

 

Torino. Suona la sveglia e l’operaio trentenne Ludovico Massa si alza per andare in fabbrica. È un metalmeccanico divorziato che convive con una parrucchiera, Midia, e suo figlio. La mattina, ad attenderli ai cancelli c’è un movimento studentesco che vorrebbe far aprire gli occhi agli operai sulle loro condizioni di lavoro, ma soprattutto sul contratto di produzione, a cottimo. In fabbrica Ludovico, detto Lulù, è il miglior operaio, e viene spesso utilizzato dall’amministrazione per dettare i tempi anche su altre macchine, rischiando così di inimicarsi gli altri operai, alcuni dei quali iscritti al sindacato. Vengono assunti due giovani operai meridionali, ai quali Lulù insegna il suo metodo: pensare al culo di una collega, l’Adalgisa, ogni volta che forgia un pezzo. A casa invece la situazione non è delle migliori perché la sera Lulù non riesce a soddisfare le voglie della sua compagna. Intanto fuori dai cancelli aumenta il numero di dimostranti ed in fabbrica gli altri operai tentano di convincere Ludovico a cambiare atteggiamento ed a rendersi meno schiavo del padrone e dei ritmi di produzione. Ludovico rifiuta di scendere a compromesso fino a che non perde un dito su una macchina. Gli operai dichiarano allora lo sciopero. Ludovico rimane segnato dall’episodio. Torna a casa della sua ex moglie, ma viene rifiutato e così, al limite di un esaurimento nervoso, va a trovare il Militina, un ex operaio a cui avevano ceduto i nervi ed al quale chiede, in manicomio, come evitare la stessa cosa. In fabbrica, mentre i sindacati cercano un dialogo fra le diverse frazioni, Ludovico torna a fare tempi di produzione come gli altri, perché ha perso la sua natura stacanovista. Perdendo la pazienza, viene sottoposto ad un controllo psicologico ed una volta fuori dalla fabbrica, viene a scontro con gli studenti, i quali però gli insinuano il dubbio se sia il caso di continuare quella vita. Ad una riunione generale di tutti gli oprai, Ludovico decide di schierarsi nella frangia più estremista, di coloro che abbandonano il lavoro definitivamente. Riesce ad avere un rapporto sessuale con la Adalgisa, ma questa ci rimane male per la mancanza di tatto da parte sua. Davanti ai cancelli la calca è sempre più grossa e ci scappano anche alcuni tafferugli. A sera gli studenti si rifugiano tutti a casa sua ma Midia, che non è affatto d’accordo, lascia la casa portandosi dietro il figlio. Gli studenti abbandonano l’appartamento poco dopo credendo che Midia li vada a denunciare alla polizia. Il giorno dopo Ludovico si trova la strada verso la fabbrica sbarrata: è stato licenziato, anche se i compagni hanno comunque deciso di abbracciare la sua causa. Va a trovare i ragazzi dell’università ma arriva a scontro anche con loro, e decide di tornare a trovare il suo amico in manicomio. È in pieno collasso di nervi e si abbandona a se stesso in casa, dove incomincia a dare un valore ad ogni oggetto acquistato, ed in rapporto alle ore di lavoro. Midia ritorna a casa con il figlio e qualche giorno dopo un rappresentante del sindacato lo informa che hanno risolto la lotta: lui è stato riassunto e la produzione è passata dal cottimo alla catena di montaggio. Ludovico, tornato al proprio lavoro, racconta di un sogno fatto al di qua di un muro che aveva cercato di abbattere, oltre il quale c’è il paradiso degli operai. Era lo stesso sogno che faceva il suo amico in manicomio.  

Non c’è dubbio che assieme ad il precedente Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1971) sia questo uno dei film più riusciti della coppia Petri/Volontè. Dopo aver smascherato le contraddizioni del potere, insite negli apparati burocratici della giustizia, Petri riesce ancora una volta a fotografare l’Italia che ha sotto gli occhi attraverso un altro squarcio sulla società, quello che apre al mondo degli operai, delle lotte sindacali, della vita di fabbrica, ed alle contraddizioni di un movimento anticapitalista che, perdendo qualche pezzo (il simbolico taglio del dito di Lulù) continua il proprio percorso lontano dal paradiso. È infatti il sogno finale, raccontato durante il proprio utilizzo in una catena di montaggio, che rende vano il tema del paradiso per la classe operaia, trattandosi appunto di un sogno all’interno di un ambiente diabolico, come quello della fabbrica. Da qualcuno questo film è stato considerato come il primo lavoro interamente italiano che è entrato nelle fabbriche, raccontandone, sebbene con qualche eccesso caricaturale, la condizioni di chi vi era coinvolto [i]. A dar voce a questo mondo è la figura di Lulù, operaio da quando aveva l’età di quindici anni, già intossicato due volte, ma fiero anche elemento della macchina del cottimo il quale, presa consapevolezza di un’altra strada sceglie di rinunciare a qualsiasi compromesso, rischiando (e rimanendo vittima) di un vero esaurimento nervoso, il vero effetto dell’alienazione industriale rivelata dalle teorie marxiste, alle quali il regista aggiunge lo stretto legame con il sesso (così come non aveva rinunciato ad accostare sesso e potere nel precedente lavoro). L’interpretazione di Gian Maria Volontè è una di quelle che rimane nell’immaginario collettivo non solo dei cinefili, e non solo per quel viso sporco di chi vive la fabbrica fino ad identificarsi con essa (e con la sua caricatura), ma per quell’accento barbaro, quella postura aggressiva, che lo ha trasformato da stacanovista a crumiro e poi, da operaio fedele a rivoluzionario. A dispetto delle pesanti critiche mosse contro proprio dagli ambienti di sinistra, il film ottenne gran successo con la Palma d’oro al Festival di Cannes, in ex aequo con il film Il caso Mattei (1971) di Francesco Rosi, anche questo un film di denuncia.  

 

Bucci Mario

        [email protected]



[i] Morando Morandini. Dizionario dei film 2004. Zanichelli