I
vampiri. Riccardo Freda. 1957. ITALIA.
Attori: Gianna Maria Canale,
Antoine Balpêtré, Paul Müller, Dario Michaelis, Wandisa Guida
Durata: 81’
Parigi. È il quarto caso di donna trovata morta e priva di
sangue e il giornalista Pierre scrive sul suo giornale di un misterioso
assassino che chiama Vampiro. Scompare anche una ballerina, la quinta vittima, e
ciò che tutte le accomuna è il gruppo sanguigno. Il giornalista, interrogando
alcune amiche della ragazza trovata nel fiume scopre di un uomo che le seguiva,
e così ha la conferma di alcuni sospetti sorti su una foto che ritraeva la ragazza
con un uomo alle spalle. Lo riconosce qualche giorno più tardi e dopo averlo
seguito si rivolge all’ispettore Chantall che, raggiungendo il posto, scopre
che è invece abitato da un ex poliziotto. L’uomo seguito si era preoccupato di cambiare
i segnali della strada per depistarli e si presenta poco dopo nello studio del
dottor Du Grand, che minaccia di dire tutto alla polizia. L’aiutante del
dottore è costretto a strozzarlo mentre fa ingresso l’anziana duchessa Marguerite
Du Grand che annuncia l’arrivo di sua nipote Giselle. A causa dell’errore che
ha commesso però, il dottore deve simulare la sua morte con tanto di sontuoso
funerale. Solo così, nell’anonimato egli può continuare a condurre su Josef,
questo il nome della vittima, esperimenti per riportarlo in vita. Un cieco
intanto ferma Lauretta, una delle amiche della scomparsa, e le domanda di
consegnare una lettera in un appartamento. Giunta sul posto la ragazza è aggredita
e fatta sparire e quando si risveglia si ritrova in una stanza di un castello. Il
giornalista e la famiglia l’attendono inutilmente a casa fino a che non
decidono di avvertire la polizia. Lauretta scopre intanto una stanza piena di
cadaveri di donne. E’ interrogato il cieco che indirizza le indagini della
polizia verso lo stesso appartamento che però viene trovato vuoto. Il direttore
del giornale, stufo della storia del vampiro, declassa Pierre alla cronaca
mondana e lo spedisce a scrivere un pezzo sulla festa da ballo tenuta nel
castello dei Du Grand per l’arrivo della nipote Giselle. Al ballo, al quale
Pierre si presenta in compagnia del fotografo, la festeggiata confessa la sua
passione al giornalista, ma questi la rifiuta e si ritira dalla festa. Poco
dopo è il fotografo ad intrufolarsi nella stanza di Giselle la quale, colta da
uno spavento svela la propria identità: il suo volto invecchia e si trasforma
nella duchessa. Marguerite, scoperta, gli spara uccidendolo. La duchessa
obbliga ancora una volta il dottore a fare un ultimo esperimento per mantenere
la sua bellezza grazie alla quale vorrebbe sedurre Pierre, figlio dell’uomo che
lei aveva amato in gioventù e che adesso il giovane giornalista rappresentava.
Qualche giorno più tardi Giselle infatti incontra Pierre e con lui fa acquisti
da un antiquario. Il fatto che ella firmi con la sinistra l’assegno
insospettisce il giornalista, preoccupato anche del fatto che il suo fotografo
è sparito proprio dalla sera della festa. Avverte l’ispettore Chantall e si
reca al castello. Qui è scoperto dall’allarme e costretto a fuggire, ma incontra
nei boschi Josef, riportato in vita dagli esperimenti del dottor Du Grand, e
fuggito dal castello. Nonostante la sua deposizione allucinata, Chantall si
lascia convincere a presentarsi al castello dove ad accoglierli c’è Giselle. La
donna nega qualsiasi allusione e lascia perquisire tutte le stanze ma proprio
quando sono ormai tutti fuori dal castello cede e torna ad invecchiare davanti
agli occhi di un poliziotto. Scoprono e uccidono il medico e il suo aiutante
mentre si davano alla fuga e ritrovano il corpo ancora vivo di Lauretta. La
duchessa muore qualche ora dopo confessando i suoi delitti, compiuti per
rimanere giovane e bella.
Prima pellicola horror scritta e
diretta in Italia, dopo il perduto Il
mostro di Frankestein (1920) di Eugenio Testa (di cui è rimasto soltanto il
titolo [i]) ed
ottimo esempio per il genere. Gotico e di natura letteraria, è un film comunque
atipico, che mischia elementi gialli a quelli propri del genere, seminando
indizi a valanga in modo da mettere sempre lo spettatore in grado di
partecipare in maniera attiva allo svolgersi degli eventi (il cambio delle
indicazioni stradali per esempio, indizio consegnato al pubblico ma non ai
protagonisti). Egli è in grado infatti di manipolare il genere e mescolare le
carte e conoscendo bene gli ingredienti che ha a disposizione. Un esempio in
tal caso è l’uso che il regista fa del gatto, elemento iconografico e narrativo
del genere, prima usato come interruzione/spavento di una sequenza (con
l’ingresso dalla finestra), poi come elemento di suspence/traino di sequenza
(con Lauretta che lo raccoglie e l’interruzione/spavento dell’uomo che entra in
campo da sinistra) ed infine solo come simbolo inquietante (con la casa vuota e
il suo passaggio). Davvero impressionate è anche l’abbondanza dell’immagine
(girato in cinemascope) illuminata dall’ottimo direttore della fotografia Mario
Bava (che girò anche le scene finali poiché i produttori alla fine optarono per
il lieto fine dopo aver litigato con Freda), prossimo e grande degno discepolo
proprio di Riccardo Freda. Dalla quando Pierre riconosce l’uomo in strada, e
fino alla bara che svela la morte di Josef anziché quella del medico, è un
crescendo di suspence, elementi, luce, forma, informazioni che rapiscono il
pubblico e lo inchiodano alla sedia. Si perde un po’ nel finale, anche se tutto
è ben legato dall’ottimo filo sostenuto dalla sceneggiatura. L’idea, e questa è
una delle cose più interessanti, nacque dal nulla, solo dalla voglia da parte
del regista e dei suoi collaboratori di realizzare un horror, che poi divenne
proprio il primo autentico horror italiano. Molto importanti, nella fase di realizzazione
del film, furono anche le musiche scritte e dirette da Roman Vlad, così come
l’apporto dello scenografo Beni Montresor, quest’ultimo, assieme a Bava (autore
anche degli spettacolari effetti speciali che invecchiano la duchessa, ripresi
da Il dottor Jekyll (1932) di Rouben
Mamoulian) ed alla bravissima Gianna Maria Canale, uniche richieste da parte
del regista ai produttori. Riccardo Freda compare come medico nel film. Tra
tutti gli elementi manipolati, sono riconoscibili subito quelli
all’espressionismo tedesco de Il
gabinetto del dottor Caligari (1921) (nell’uso di alcune ombre in
particolare, ma soprattutto nella figura dello “zombie” come strumento del
male), quelli del thriller vero e proprio (con l’inquadratura dei guanti neri),
quelli del poliziesco (con indagini ed inseguimenti) quelli della letteratura
fantastica (Frankenstein e Dracula). Si parla anche di droghe, poi diventate
soggetto principale di un’altra storia di vampiri, sempre girata in bianco e
nero ma decisamente più recente, The
addiction (1995) di Abel Ferrera. Oltre a Mario Bava, un altro grande
maestro del brivido, Dario Argento (tra l’altro allievo proprio di Mario Bava)
deve molto sia a Riccardo Freda che a questo film (la fotografia che svela la
presenza del probabile colpevole, i guanti neri, il giornalista che indaga, ecc…).
Bucci Mario
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