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Zero in condotta - Zéro de conduite
Anno: 1933
Regista: Jean Vigo;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Zero in condotta. Jean Vigo. 1933. FRANCIA.

Attori: Jean Dasté, Robert Le Flon, Delphin, Louis Lefèbvre, Gilbert Pruchon, Gérard de Bedarieux, Constantin Goldstein-Kehler

Durata: 47’

Altro Titolo: Zéro de conduite

 

               

Fine delle vacanze, il ritorno. Due collegiali s’incontrano in treno di notte. Scherzano e giocano alla presenza di un uomo addormentato e quando arrivano in stazione trovano il resto dei compagni ad attenderli, guidati dal censore. Scoprono che l’uomo del vagone è il nuovo professor Huguet. L’isitituto nel quale sono tenuti è caratterizzato da un rigido cameratismo tanto che già la prima sera tre di loro vengono messi in punizione con uno zero in condotta. Complotto di ragazzi. Stanchi di essere puniti senza aver fatto niente, i tre perseguitati decidono di organizzare una rivolta, ma sono in dubbio se accettare anche Tabart fra loro, che credono invece una spia. Durante l’ora di ricreazione il maestro Huguet fa il verso a Chaplin mentre il censore, che i ragazzi apostrofano come “cornacchia” (bec de gaz) ruba loro la cioccolata in classe. I ragazzi se ne accorgono e decidono di incollare i libri dell’istituto. Arriva anche il rettore a far loro visita in preparazione della festa che si terrà a giorni mentre in città, con tutti gli alunni al seguito, il professor Huguet si perde per strada dietro una donna. Caussat dal suo raccomandatario e Colin da mamma fagiolo, sua madre. All’ennesimo piatto di fagioli propinato ai ragazzi segue un accenno di rivolta, mentre Tabart viene accettato nel gruppo con il formale gesto della divisione della cioccolata. Dopo aver risposto male al professor di scienze, Tabar è obbligato dal rettore a chiedergli scusa davanti alla classe ma questi si rifiuta e lo manda a quel paese. A notte nel dormitorio viene organizzata la rivolta a suon di cuscini. La mattina dopo complice dei quattro la stanchezza…. Il trio con Tabar si chiude nel granaio mentre nel piazzale dell’istituto è in scena la festa di celebrazione cui partecipano le maggiori autorità. Saliti sul tetto i quattro ragazzi lanciano qualsiasi cosa contro le figure istituzionali presenti alla festa, interrompendo le celebrazioni ed ottenendo una rivolta, spinta fra l’altro anche dal professor Huguet.

Condannato dalla censura politica del suo paese nel quale uscì solo dopo il 1945, il primo mediometraggio del ventottenne Jean Vigo fu tacciato per quasi un decennio come antifrancese, poiché mosso da formule anarchiche di rivendicazione della creatività e sovversione dell’ordine, in realtà accusato soprattutto dall’organizzazione dei padri di famiglia. Ad una condizione di sottomissione ingiustificata, come è quella del fanciullo nei confronti della società organizzata (quello zero in condotta che condanna ogni loro movimento) il regista contrappone una poetica dell’immaginazione e della vivacità in grado di interrompere una festa istituzionale e di costringerne i rappresentati ad asserragliarsi nel propri palazzi, mentre giovani rivoluzionari ne conquistano i tetti degli stessi palazzi, raggiungendo così il cielo e la libertà. Siamo di fronte ad un manifesto della rivolta dunque, ed è una delle primissime volte nella storia del cinema che il racconto viene messo al servizio di questo messaggio, radicato nella necessità di vivere dei piccoli protagonisti. Tratto da un’esperienza autobiografica, ciò è ancor più evidente nella forma dei messaggi che Vigo riprende da quelli del padre, l’anarchico Miguel Almereyda, anagramma della frase di denuncia antiborghese Y a la merde, la stessa che nell’edizione originale pronuncia il giovane Tabart (tradotta in italiano con “vada al diavolo!”) contro il rettore (rappresentato dal nano Delphin) ed il professor di scienze (sul quale il regista sembra voler far cadere dubbi di pedofilia con il dettaglio, uno dei pochi del film, in cui l’uomo posa la mano su quella del ragazzo). Momenti delicati si incastrano perfettamente nelle scene dal maggior contenuto visivo/emotivo: il carrello all’indietro sulla figura di Colin nella cucina con “mamma fagiolo”, e naturalmente la guerra dei cuscini (ispirata a La febbre dell’oro (1925) di C. Chpalin, il cui riferimento è esplicito nella caricatura fatta dal professore durante la ricreazione) nella quale l’uso del rallenti e d’immagini al contrario intervengono rendendo assoluta una rivolta che inizia per mano e modi come se fosse una ragazzata e che man mano assume  connotati esclusivamente politici (inquadratura fissa e ragazzi che passano, totali con le piume che ricordano il freddo vento dell’est) e sulla quale è aggiunta la musica di Maurice Jaubert, ma al contrario. L’intera sequenza è definita anche sinfonia in bianco maggiore [i] per la luminosità con la quel è rappresentata. Tutte cariche (o caricaturali sarebbe meglio dire) le figure mature dell’istituto, dal censore alto e spilungone chiamato “cornacchia” fino al rettore, più piccolo degli stessi alunni. In un modo o nell’altro si è cercato di includere questo lavoro (come anche il seguente L’Atalante (1934) dello stesso Vigo) tra le pellicole legate alla corrente surrealista, ma in realtà essa è un esempio tangibile del passaggio dal surrealismo cinematografico (le sequenze al contrario o il maestro a testa in giù) al realismo poetico alla Renè Clair che caratterizzerà il cinema francese proprio negli anni Trenta. Il film rimane comunque un sincero inno alla libertà, cui la giovinezza non può rinunciare. L’operatore alla macchina da presa è Boris Kauffman, collaboratore con il regista per altri film, e fratello soprattutto del regista Dziga Vertov. Sono passati solo pochi anni dall’introduzione del sonoro, ma il regista sceglie ugualmente di usarne il meno possibile a causa delle estreme difficoltà che ancora si presentavano per la presa diretta, ottenendo così un racconto secco capace ancora di concentrare il proprio messaggio nelle immagini. Rimane un modello per tantissimi altri film che ne riprendono l’esatta struttura, o solo alcune caratteristiche (come l’ordine e l’organizzazione emotiva che si crea in una situazione cameratesca). Nei giorni in cui il film fu tolto dalle sale, il regista moriva di setticemia. La condanna è dentro, fuori è la libertà.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]



[i] Georges Sadoul. Dizionario dei film. Sansoni editore