Omicidio.
Alfred Hitchcock. 1930. G.B.
Attori: Herbert
Marshall, Norah Baring, Phyllis Konstam, Edward Chapman
Durata: 108’
Titolo
originale: Murder!
Nel cuore della notte un sobborgo nei pressi di un teatro
è messo a soqquadro a causa della morte dell’attrice Edna Druce, ospite a cena
della sua collega Diana Baring, trovata sul luogo del delitto in stato
confusionale. La polizia si reca allo spettacolo cui entrambe facevano parte
per porre alcune domande ai colleghi, ma non emerge alcun’indicazione particolare.
Al processo solo tre della giuria votano a favore della sua innocenza, ma poi sono
convinti dagli altri giurati a cambiare il voto in colpevolezza. Diana Baring è
condannata a morte. Tra i giurati però era presente al processo anche il
drammaturgo John Menier il quale, colto dal senso di colpa per non essere
riuscito a convincere la giuria della sua innocenza, decide di indagare da
solo. Si fa aiutare da una coppia d’attori in bolletta che era giunta per prima
sul luogo del delitto. Dalle indagini effettuate emerge la figura di un
poliziotto in più la sera del delitto, una conversazione tra due voci femminili
dove una poteva essere anche quella di un uomo camuffata, e soprattutto un
portasigarette macchiato di sangue. Le indagini si restringono su due attori
della compagnia, Jon Stewart e Handel Fane. John Menier decide allora di
interrogare direttamente Diana Baring la quale non vuole fare il nome dell’uomo
per il quale stavano litigando quella sera lei e la collega, ma si tradisce di
fronte al portasigarette indicandone il proprietario: Handel Fane. Menier
decide allora di ricorrere alla messa in scena del terzo atto dell’Amleto e
convocando Fane fa in modo che questo si scopra. L’uomo il giorno dopo riprende
il suo spettacolo in un circo dove si esibisce come trapezista vestito da
donna. Terminata l’esibizione, colto dai sensi di colpa, Fane s’impicca di
fronte alla platea lasciando una dichiarazione di colpevolezza a Menier. Fane
voleva tenere nascosta la sua omosessualità e per questo aveva colpito entrambe
le donne, facendo perdere i sensi ad una ed uccidendo l’altra. John Menier ne
trae un dramma teatrale di successo da tutta questa faccenda.
Tra i primi lavori sonorizzati del
maestro della suspence, ed uno dei più interessanti gialli (e ambigui vista la
scelta del tema dell’omosessualità) realizzati nel suo periodo inglese.
L’assioma sul quale si poggia il film è basato sullo scambio tra realtà a
servizio dell’arte (in questo caso drammaturgia e teatrale) e arte al servizio
della realtà. Tramite questo continuo rovesciamento delle due forme di
rappresentazione, quella reale e quella artistica, Hitchcock riesce a creare
una storia credibile alla quale per tutto il tempo riesce a far mancare una
soluzione, sebbene aiuti il pubblico ad arrivarci conducendolo quasi per mano
fino alla lettera di confessione finale di Fane. È infatti un percorso guidato
questo modello ben riuscito di whodunit
(giallo classico) che parte dalle più profonde considerazioni sulla pena di
morte e sulla responsabilità della giustizia nell’accertare meglio le prove
prima di emettere un giudizio (con l’ombra del patibolo che cresce nel finale,
quando ormai sembra non ci sia più tempo) per giungere alla soluzione di un
giallo ricostruito davanti agli occhi dello spettatore. Destò molto scalpore
l’utilizzo con il sonoro del monologo interiore del protagonista John Menier davanti
allo specchio, considerato sicuramente una novità narrativa, ma sminuita dallo
stesso Hitchcock che ricorda invece l’occasionale necessità di non farlo parlare,
poiché vi era un’orchestra dietro che eseguiva musica dal vivo [i]. Il
genere whodunit non era certo quello
preferito da Hitchcock, ma la correttezza del regista si evince nel rispetto
verso lo spettatore, al quale non fa mancare nessun ingrediente e contro il
quale non ha usato alcun trucco scenico o narrativo. Il cinema nelle mani di
Hitchcock si piega alla volontà della storia e del dramma (il primo piano di
Herbert Marshall quando non riesce a convincere i giurati della sua tesi
d’innocenza) non meno di quanto lo faccia il teatro stesso (svelato
nell’indagine della polizia nel suo dietro le quinte), piegato a sua volta alle
esigenze del regista che riesce ad utilizzare un classico pezzo di storia del
teatro come il terzo atto di Amleto
come semplice espediente attraverso il quale giungere alla verità (l’arte al
servizio della realtà appunto). Condito di qualche spunto divertente (le tante
interruzioni sulle domande dell’ispettore agli attori dietro le quinte; la
giuria che segue il dibattito in aula come si trattasse di un’educata partita
di tennis) si conclude in maniera assolutamente violenta (suicidio davanti al
pubblico), dirompente rispetto ai toni drammatici del film, chiuso dal sipario,
un omaggio al teatro ma anche la quadratura del cerchio (la realtà al servizio
dell’arte). Il film fu girato in bilingue, abitudine che si usava spesso fare
per facilitare l’esportazione delle pellicole, e tedesca fu la seconda utilizzata
per quest’opera e per la quale versione fu scelto il titolo Mary o Sir John greift ein. Per
Hitchcock fu la prima volta in cui affrontò questo tipo di lavoro dove al posto
di Herbert Marshall nella parte di John Menier, lavorò Alfred Abel. La
pellicola inglese però ottenne un discreto successo solo nella capitale e non
in provincia. “Usare l’arte per capire la
vita”.
Bucci Mario
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