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Omicidio - Murder!
Anno: 1930
Regista: Alfred Hitchcock;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Gran Bretagna;
Data inserimento nel database: 28-12-2005


La grande guerra

Omicidio.  Alfred Hitchcock. 1930. G.B.

Attori: Herbert Marshall, Norah Baring, Phyllis Konstam, Edward Chapman

Durata: 108’

Titolo originale: Murder!

 

 

Nel cuore della notte un sobborgo nei pressi di un teatro è messo a soqquadro a causa della morte dell’attrice Edna Druce, ospite a cena della sua collega Diana Baring, trovata sul luogo del delitto in stato confusionale. La polizia si reca allo spettacolo cui entrambe facevano parte per porre alcune domande ai colleghi, ma non emerge alcun’indicazione particolare. Al processo solo tre della giuria votano a favore della sua innocenza, ma poi sono convinti dagli altri giurati a cambiare il voto in colpevolezza. Diana Baring è condannata a morte. Tra i giurati però era presente al processo anche il drammaturgo John Menier il quale, colto dal senso di colpa per non essere riuscito a convincere la giuria della sua innocenza, decide di indagare da solo. Si fa aiutare da una coppia d’attori in bolletta che era giunta per prima sul luogo del delitto. Dalle indagini effettuate emerge la figura di un poliziotto in più la sera del delitto, una conversazione tra due voci femminili dove una poteva essere anche quella di un uomo camuffata, e soprattutto un portasigarette macchiato di sangue. Le indagini si restringono su due attori della compagnia, Jon Stewart e Handel Fane. John Menier decide allora di interrogare direttamente Diana Baring la quale non vuole fare il nome dell’uomo per il quale stavano litigando quella sera lei e la collega, ma si tradisce di fronte al portasigarette indicandone il proprietario: Handel Fane. Menier decide allora di ricorrere alla messa in scena del terzo atto dell’Amleto e convocando Fane fa in modo che questo si scopra. L’uomo il giorno dopo riprende il suo spettacolo in un circo dove si esibisce come trapezista vestito da donna. Terminata l’esibizione, colto dai sensi di colpa, Fane s’impicca di fronte alla platea lasciando una dichiarazione di colpevolezza a Menier. Fane voleva tenere nascosta la sua omosessualità e per questo aveva colpito entrambe le donne, facendo perdere i sensi ad una ed uccidendo l’altra. John Menier ne trae un dramma teatrale di successo da tutta questa faccenda.

Tra i primi lavori sonorizzati del maestro della suspence, ed uno dei più interessanti gialli (e ambigui vista la scelta del tema dell’omosessualità) realizzati nel suo periodo inglese. L’assioma sul quale si poggia il film è basato sullo scambio tra realtà a servizio dell’arte (in questo caso drammaturgia e teatrale) e arte al servizio della realtà. Tramite questo continuo rovesciamento delle due forme di rappresentazione, quella reale e quella artistica, Hitchcock riesce a creare una storia credibile alla quale per tutto il tempo riesce a far mancare una soluzione, sebbene aiuti il pubblico ad arrivarci conducendolo quasi per mano fino alla lettera di confessione finale di Fane. È infatti un percorso guidato questo modello ben riuscito di whodunit (giallo classico) che parte dalle più profonde considerazioni sulla pena di morte e sulla responsabilità della giustizia nell’accertare meglio le prove prima di emettere un giudizio (con l’ombra del patibolo che cresce nel finale, quando ormai sembra non ci sia più tempo) per giungere alla soluzione di un giallo ricostruito davanti agli occhi dello spettatore. Destò molto scalpore l’utilizzo con il sonoro del monologo interiore del protagonista John Menier davanti allo specchio, considerato sicuramente una novità narrativa, ma sminuita dallo stesso Hitchcock che ricorda invece l’occasionale necessità di non farlo parlare, poiché vi era un’orchestra dietro che eseguiva musica dal vivo [i]. Il genere whodunit non era certo quello preferito da Hitchcock, ma la correttezza del regista si evince nel rispetto verso lo spettatore, al quale non fa mancare nessun ingrediente e contro il quale non ha usato alcun trucco scenico o narrativo. Il cinema nelle mani di Hitchcock si piega alla volontà della storia e del dramma (il primo piano di Herbert Marshall quando non riesce a convincere i giurati della sua tesi d’innocenza) non meno di quanto lo faccia il teatro stesso (svelato nell’indagine della polizia nel suo dietro le quinte), piegato a sua volta alle esigenze del regista che riesce ad utilizzare un classico pezzo di storia del teatro come il terzo atto di Amleto come semplice espediente attraverso il quale giungere alla verità (l’arte al servizio della realtà appunto). Condito di qualche spunto divertente (le tante interruzioni sulle domande dell’ispettore agli attori dietro le quinte; la giuria che segue il dibattito in aula come si trattasse di un’educata partita di tennis) si conclude in maniera assolutamente violenta (suicidio davanti al pubblico), dirompente rispetto ai toni drammatici del film, chiuso dal sipario, un omaggio al teatro ma anche la quadratura del cerchio (la realtà al servizio dell’arte). Il film fu girato in bilingue, abitudine che si usava spesso fare per facilitare l’esportazione delle pellicole, e tedesca fu la seconda utilizzata per quest’opera e per la quale versione fu scelto il titolo Mary o Sir John greift ein. Per Hitchcock fu la prima volta in cui affrontò questo tipo di lavoro dove al posto di Herbert Marshall nella parte di John Menier, lavorò Alfred Abel. La pellicola inglese però ottenne un discreto successo solo nella capitale e non in provincia. “Usare l’arte per capire la vita”.  

 

 

Bucci Mario

        [email protected]

 



[i] Françoise Truffaut. Il cinema secondo Hitchcock. l’Unità/Pratiche editrice