Il
pensionante - Una storia della nebbia di Londra. Alfred Hitchcock. 1926. G.B.
Attori: Ivor
Novello, June, Marie Ault, Arthur Chesney, Malcolm Keen
Durata: 84’
Titolo originale: The
lodger - A story of the London
fog
Londra. Primissimo piano di una donna che grida. Poco dopo
ne viene trovato il cadavere. È la settima vittima del Vendicatore, serial
killer che uccide il martedì e solo donne dai capelli biondi. La notizia è
subito diffusa da tutti gli organi d’informazione. In una pensione, dove il
poliziotto Joe fa la corte a Daisy, la figlia dei proprietari, arriva un uomo
strano che si fa togliere tutti i quadri di ragazze bionde alle pareti della
camera che prende in affitto. Trascorsi un paio di giorni nei quali l’uomo
rompe il ghiaccio, Joe incomincia a manifestare una certa diffidenza, spinta
soprattutto dalla gelosia. A tarda notte, un martedì, mentre l’inquilino esce
di soppiatto dalla pensione, l’ennesima vittima viene trovata in strada. La
signora Bunting, la proprietaria, è l’unica ad averlo sentito andar via e la
mattina dopo, leggendo la notizia sui giornali, ne parla con il marito,
mettendolo in guardia. L’inquilino intanto va ad una sfilata di moda dove
lavora Daisy e le compra un vestito. I genitori di lei però non apprezzano e lo
restituiscono. Un martedì notte, Daisy e l’inquilino decidono ugualmente di
uscire assieme ma vengono scoperti da Joe che, dopo una scenata di gelosia,
viene allontanato dalla stessa Daisy. Di ritorno nella pensione, i due si
baciano ma poco dopo fa irruzione la polizia, organizzata da Joe per una
perquisizione. In una valigia trovano una pistola, la mappa degli omicidi, i ritagli
di giornale e la foto di una donna, la prima vittima. L’inquilino cerca di
spiegare che si tratta della sorella ammazzata ma Joe lo fa ugualmente
arrestare. Sulla soglia della pensione l’inquilino riesce a fuggire ed a
dileguarsi nella nebbia. Daisy lo ritrova nel luogo del loro appuntamento e qui
l’uomo gli racconta la sua storia. Il Vendicatore aveva ucciso sua sorella ad
un ballo di gala e lui aveva promesso alla madre, malata per la tragedia, di
vendicare la morte della sorella. Daisy lo porta in un bar a bere qualcosa per
riscaldarlo. La gente si accorge che lui ha i polsi bloccati e quando questi
vanno via, e dopo l’arrivo di Joe che contatta la polizia, intuiscono che si
tratta del killer e si riversano in strada per dargli la caccia. L’inquilino,
provando a mettersi in fuga, rimane imbrigliato con le manette in una ringhiera
e la gente del bar lo raggiunge. Proprio in quel momento Joe apprende dal
commissariato che il vero assassino è stato trovato e riesce per un pelo a
sottrarre l’uomo al linciaggio della folla. Daisy e l’inquilino possono
sposarsi.
Mascherato da poliziesco vestito
di giallo, ispirato al romanzo di Mrs. Belloc Lowndes (dal quale era stata
tratta una piéce teatrale dal nome Chi è?),
il terzo lavoro del regista britannico, mago della suspence, è in realtà
un’accurata riflessione sulla giustizia (la condanna per supposizione), l’effetto
dei luoghi comuni (il linciaggio della massa), e sulla detenzione (la pensione
nella quale il protagonista va a vivere). Sebbene infatti il regista cerchi in
tutti i modi di attribuire responsabilità omicide alla figura dell’inquilino, è
evidente che le sue intenzioni siano diverse, e che in realtà egli vuol mettere
in scena l’impossibilità di sfuggire ai giudizi superficiali cui spesso la
giustizia giunge. È infatti in un’inquadratura specifica che Alfred Hitchcock
descrive tutto questo, quando cioè si vedono i polsi dell’inquilino bloccati
dalle manette nell’inferriata di una ringhiera che ha provato a scavalcare.
Sono quelle manette, quell’accusa approssimativa che inchioda l’uomo ad una
colpevolezza cui è in realtà estraneo, e che fanno in modo che egli stesso, a
sua volta vittima nella morte della sorella, sia ancora una volta vittima della
folla (pregiudizio allargato) a rischio della vita. Si tratta dunque di un
ottimo film, circolare (primissimo piano dell’urlo in apertura e primissimo
piano del sorriso in chiusura) innaffiato di suspence (tutta la sequenza finale
del linciaggio, ma anche quella della prima uscita notturna dell’inquilino)
memore delle arie espressioniste (i fondali delle didascalie, ma anche la
fotografia degli interni) divenute ancor più celebri con M. Il mostro di Dusseldorf (1931) di Fritz Lang. Sebbene infatti i
temi affrontati siano diversi (qui è la condanna della giustizia, nel film
tedesco la condanna dell’istinto), l’aria è praticamente la stessa nel momento
in cui è il tema della vendetta ad emergere nei sottotesti. Questo accade
perché c’è un assassino che si fa chiamare Vendicatore, è c’è un innocente che
in realtà vorrebbe vendicare la morte della sorella, anche se alla fine colui
che attua veramente la vendetta (per gelosia) è proprio il poliziotto Joe. Un
gioco di scatole cinesi dunque che culmina con il giudizio ed il processo di
massa (così come per M. di Lang) in
una sorta di incubo kafkiano cui il protagonista (e lo spettatore più attento)
non riesce a sfuggire. Dice ad un certo punto il poliziotto Joe “Quando metterò un cappio intorno al collo
del Vendicatore, metterò un anello al dito di Daisy” a dimostrazione del
cattivo gusto dell’autorità e del difficile rapporto del regista con le forze
dell’ordine (come risulta anche nella biografia dello stesso). Ciò gli ha
permesso di creare un ambiente disgustoso (polizia e massa) attorno ad un
personaggio che riesce invece a mantenere una posizione sempre malinconica e
per il quale il pubblico è portato a parteggiare (quasi una sorta di Cristo nel
finale, quando viene tirato via dalla ringhiera dopo essere stato picchiato). Assolutamente
geniale l’inquadratura dall’ingresso in cui si possono vedere i passi
dell’inquilino ripresi da sotto: è il cinema che va oltre lo sguardo dei suoi
protagonisti e che aiuta il pubblico ad ingozzarsi di dettagli che una volta
allontanano (per un destino della sceneggiatura) ed a volte portano così vicino
alla verità da non essere creduti (l’innocenza di cui è macchiato l’inquilino,
protagonista sin dal titolo). Sono già tutti presenti gli elementi del cinema
del regista: complessi di colpa, senso precario della giustizia, accanimento
del destino verso i protagonisti, ambiente ostile… ed è già presente in questo
lavoro la tendenza dello stesso a mostrarsi (qui ben due volte, nella redazione
del giornale e tra la folla pronta a linciare il pensionante). Il regista
avrebbe preferito finire il film facendo sparire tra la nebbia il personaggio
interpretato dal bravo Ivor Novello, lasciando in dubbio lo spettatore, ma
poiché questi era un divo del teatro, era importante che si capisse che era
innocente [i]. Il
film non ebbe subito fortuna perché non piacque alla produzione la quale, dopo
averlo messo da parte, decise di distribuirlo nelle sale solo dopo aver
apportato alcuni cambiamenti. Di questo film ne sono stati realizzati diversi
remake tra i quali l’omonimo Il
pensionate (1944) di John Brahm e Una
mano nell’ombra (1954) di Hugo Fregonese.
Bucci Mario
videodrome76@hotmail.com