Alessandro
Nevskij. Sergej M. Ejzenštejn. 1938. URSS.
Attori: Nikolaj Cerkasov,
Nikolaj Ochlopkov, Aleksandr Abrikosov
Durata: 111’
Titolo originale: Aleksandr Nevskij
Russia. XIII secolo. Il principe Aleksandr Nevskij, vincitore
sugli svedesi nella battaglia della Neva, è chiamato dagli abitanti di Novgorod
perché i Cavalieri Teutonici sono alle porte, dopo aver conquistato Pskov. I
Germani vorrebbero sottometterli anche alla Chiesa di Roma e quando apprendono
che il principe Nevskij ha accettato di difendere la città di Novgorod, son
convinti di vincere perché questo è reduce dalla battaglia con gli svedesi. Il
principe però, dopo un comizio, convince tutta la popolazione alla chiamata
alle armi ed al quale richiamo rispondono anche contadini e donne. Il 5 aprile
1242 si appostano vicino al lago ghiacciato Peipus dove dopo aver subito una
prima sconfitta a causa di un traditore, riescono a sconfiggere i Cavalieri
Teutonici accerchiandoli ai lati e costringendoli a retrocedere verso il lago
ghiacciato che si frantuma sotto di loro inghiottendoli. I sopravvissuti sono
accolti trionfanti in paese dove sono risparmiati i militari prigionieri ma non
i traditori, linciati dal popolo.
Appositamente commissionatagli dal Ministero della propaganda, dopo
dieci anni d’inattività, è un’opera sontuosa dal carattere nazionalista
esasperato, inebriato di magnificenza, e che si può far rientrare nella
corrente del realismo socialista epico. Questa volta Ejzenštejn rinuncia al
montaggio delle attrazioni che aveva caratterizzato tutte le sue prime opere,
per un montaggio spesso in asse o comunque interno all’inquadratura. Obiettivo
principale infatti sarà, come vedremo, il ritmo e non il significante, già di
per sé molto esplicito. Nella rappresentazione delle due forze che si
scontrano, egli adotta comunque due stili, quello per i Cavalieri Teutonici
freddo, fatto di poche movenze e di una forte carica rappresentativa ricavata
solo dalla composizione dell’immagine (come la figura vestita di nero che si
muove come la morte, o il cavaliere che brucia i bambini), il più delle volte
muta, mentre per i Russi usa una composizione più caotica, movimentata, vivace
e soprattutto inserisce praticamente tutti i dialoghi quando stacca da questa
parte. È un film russo dunque, dallo sbilanciamento delle figure, agli effetti
dichiaratamente propagandistici, come nel finale dove il motto resiste, mentre
la storia sfuma: ciò che deve emergere dunque è solo che Chiunque si
presenti in Russia armato di spada di quella spada perirà egli stesso. Dicevamo
allora di una pellicola dai fortissimi connotati nazionalisti (“Meglio
morire nel nostro paese che lasciarlo” dice il principe al rappresentante
dei Mongoli all’inizio del film; i canti camerateschi che accompagnano i primi dispiegamenti
militari) che però fanno anche frutto delle teorie marxiste per dipingere nel
suo pretesto storico una necessità contingente del paese: alla corsa alle armi
il popolo non può sottrarsi (vestizione della donna in combattente) perché
senza di esso la rivoluzione non sarebbe possibile ed il popolo è anche giudice
(il linciaggio finale dei traditori). Siamo difatti ad un passo dalla seconda
guerra mondiale ed i tedeschi rappresentavano davvero una seria minaccia. Da
questo punto di vista allora il sontuoso e monumentale lavoro del regista può
essere letto come documento di un pezzo di storia del suo paese, ma anche come
un documento storico contemporaneo della sua realizzazione. Rimane ovviamente
l’inconfutabile dubbio dell’obiettività della trama e della storia. Con questa
pellicola le capacità del regista emergono ancora una volta con prepotenza
nella gestione degli spazi e nella capacità di dirigere masse di persone che
entrano nello schermo come corsi d’acqua gonfi, che scivolano sullo schermo con
l’effetto di una burrasca armoniosa e violenta. Utilizzando i corpi delle
centinaia di comparse per aggredire lo schermo e la percezione dell’occhio,
sceglie invece il carrello per descrivere il campo a battaglia conclusa,
lasciandosi sfuggire l’immagine di un corvo sui caschi dei nemici caduti in
terra, il fotogramma/firma dell’autore. Come costruisce la storia attraverso il
bilanciamento delle immagini? è singolare l’uso dello spazio vuoto, all’interno
del quale si muovono interi eserciti minuscoli, che sono appiattiti sul fondo
dell’orizzonte, in campi chilometrici o inquadrandoli poco sotto la testa,
lasciando che sia il numero di queste a dare il senso della loro numerosità e
non l’immagine piena che utilizza invece solo per la battaglia (trentasette
minuti dell’intero film). Durante questa, stacca spesso sui mezzi busti dei
principali protagonisti, in una sorta di transfert necessario per
l’immedesimazione dello spettatore in uno dei combattenti e quindi con tutti,
ma anche in una sorta di violento accanimento sul nemico. Importante come
avevamo anticipato fu anche l’apporto delle musiche, in un momento in cui il
dibattito era aperto sull’introduzione del sonoro e sulle sue capacità per contribuire
al ritmo del film, delle quali s’interessò Sergej Prokofiev assieme al regista
stesso, basando il loro approccio sull’idea del contrappunto. Il punto sul
quale si concentrarono ovviamente fu quello della battaglia (nella quale il
regista inserisce anche una banda che suona) dove gli scontri spesso, come
abbiamo detto, si muovevano su percorsi dalla vaga armonia fluviale o a volte
più geometrica. Il fotografo Eduard Tissè si occupò in special modo anche lui
di questa parte del film. Il regista non accreditato Dmitrij Vasilev ha diretto
la seconda unità. Grazie a questo film, proiettato per la prima volta il 23
novembre 1938 e che piacque molto a Stalin, il regista ottenne una delle più
alte onorificenze dell’Unione Sovietica: l’Ordine di Lenin.
Bucci Mario
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