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Alessandro Nevskij - Aleksandr Nevskij
Anno: 1938
Regista: Sergej M. Ejzenštejn;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: URSS;
Data inserimento nel database: 27-09-2005


La grande guerra

Alessandro Nevskij. Sergej M. Ejzenštejn. 1938. URSS.

Attori: Nikolaj Cerkasov, Nikolaj Ochlopkov, Aleksandr Abrikosov

Durata: 111’

Titolo originale: Aleksandr Nevskij

 

 

Russia. XIII secolo. Il principe Aleksandr Nevskij, vincitore sugli svedesi nella battaglia della Neva, è chiamato dagli abitanti di Novgorod perché i Cavalieri Teutonici sono alle porte, dopo aver conquistato Pskov. I Germani vorrebbero sottometterli anche alla Chiesa di Roma e quando apprendono che il principe Nevskij ha accettato di difendere la città di Novgorod, son convinti di vincere perché questo è reduce dalla battaglia con gli svedesi. Il principe però, dopo un comizio, convince tutta la popolazione alla chiamata alle armi ed al quale richiamo rispondono anche contadini e donne. Il 5 aprile 1242 si appostano vicino al lago ghiacciato Peipus dove dopo aver subito una prima sconfitta a causa di un traditore, riescono a sconfiggere i Cavalieri Teutonici accerchiandoli ai lati e costringendoli a retrocedere verso il lago ghiacciato che si frantuma sotto di loro inghiottendoli. I sopravvissuti sono accolti trionfanti in paese dove sono risparmiati i militari prigionieri ma non i traditori, linciati dal popolo.  

Appositamente commissionatagli dal Ministero della propaganda, dopo dieci anni d’inattività, è un’opera sontuosa dal carattere nazionalista esasperato, inebriato di magnificenza, e che si può far rientrare nella corrente del realismo socialista epico. Questa volta Ejzenštejn rinuncia al montaggio delle attrazioni che aveva caratterizzato tutte le sue prime opere, per un montaggio spesso in asse o comunque interno all’inquadratura. Obiettivo principale infatti sarà, come vedremo, il ritmo e non il significante, già di per sé molto esplicito. Nella rappresentazione delle due forze che si scontrano, egli adotta comunque due stili, quello per i Cavalieri Teutonici freddo, fatto di poche movenze e di una forte carica rappresentativa ricavata solo dalla composizione dell’immagine (come la figura vestita di nero che si muove come la morte, o il cavaliere che brucia i bambini), il più delle volte muta, mentre per i Russi usa una composizione più caotica, movimentata, vivace e soprattutto inserisce praticamente tutti i dialoghi quando stacca da questa parte. È un film russo dunque, dallo sbilanciamento delle figure, agli effetti dichiaratamente propagandistici, come nel finale dove il motto resiste, mentre la storia sfuma: ciò che deve emergere dunque è solo che Chiunque si presenti in Russia armato di spada di quella spada perirà egli stesso. Dicevamo allora di una pellicola dai fortissimi connotati nazionalisti (“Meglio morire nel nostro paese che lasciarlo” dice il principe al rappresentante dei Mongoli all’inizio del film; i canti camerateschi che accompagnano i primi dispiegamenti militari) che però fanno anche frutto delle teorie marxiste per dipingere nel suo pretesto storico una necessità contingente del paese: alla corsa alle armi il popolo non può sottrarsi (vestizione della donna in combattente) perché senza di esso la rivoluzione non sarebbe possibile ed il popolo è anche giudice (il linciaggio finale dei traditori). Siamo difatti ad un passo dalla seconda guerra mondiale ed i tedeschi rappresentavano davvero una seria minaccia. Da questo punto di vista allora il sontuoso e monumentale lavoro del regista può essere letto come documento di un pezzo di storia del suo paese, ma anche come un documento storico contemporaneo della sua realizzazione. Rimane ovviamente l’inconfutabile dubbio dell’obiettività della trama e della storia. Con questa pellicola le capacità del regista emergono ancora una volta con prepotenza nella gestione degli spazi e nella capacità di dirigere masse di persone che entrano nello schermo come corsi d’acqua gonfi, che scivolano sullo schermo con l’effetto di una burrasca armoniosa e violenta. Utilizzando i corpi delle centinaia di comparse per aggredire lo schermo e la percezione dell’occhio, sceglie invece il carrello per descrivere il campo a battaglia conclusa, lasciandosi sfuggire l’immagine di un corvo sui caschi dei nemici caduti in terra, il fotogramma/firma dell’autore. Come costruisce la storia attraverso il bilanciamento delle immagini? è singolare l’uso dello spazio vuoto, all’interno del quale si muovono interi eserciti minuscoli, che sono appiattiti sul fondo dell’orizzonte, in campi chilometrici o inquadrandoli poco sotto la testa, lasciando che sia il numero di queste a dare il senso della loro numerosità e non l’immagine piena che utilizza invece solo per la battaglia (trentasette minuti dell’intero film). Durante questa, stacca spesso sui mezzi busti dei principali protagonisti, in una sorta di transfert necessario per l’immedesimazione dello spettatore in uno dei combattenti e quindi con tutti, ma anche in una sorta di violento accanimento sul nemico. Importante come avevamo anticipato fu anche l’apporto delle musiche, in un momento in cui il dibattito era aperto sull’introduzione del sonoro e sulle sue capacità per contribuire al ritmo del film, delle quali s’interessò Sergej Prokofiev assieme al regista stesso, basando il loro approccio sull’idea del contrappunto. Il punto sul quale si concentrarono ovviamente fu quello della battaglia (nella quale il regista inserisce anche una banda che suona) dove gli scontri spesso, come abbiamo detto, si muovevano su percorsi dalla vaga armonia fluviale o a volte più geometrica. Il fotografo Eduard Tissè si occupò in special modo anche lui di questa parte del film. Il regista non accreditato Dmitrij Vasilev ha diretto la seconda unità. Grazie a questo film, proiettato per la prima volta il 23 novembre 1938 e che piacque molto a Stalin, il regista ottenne una delle più alte onorificenze dell’Unione Sovietica: l’Ordine di Lenin.

 

 

Bucci Mario

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