Hero.
Zhang Yimou. 2003. CINA-HONG
KONG.
Attori: Jet
Li, Tony Leung, Maggie Cheung, Chen Daoming, Donnie Yen, Zhang Ziyi, Wen Jiang.
Durata: 96’
Cina. Duemila anni fa. Un uomo senza nome dopo aver
eliminato tre capi che avevano attentato alla vita del re di Quin, riesce a
farsi ricevere al palazzo giungendo a soli dieci passi da lui. Qui l’uomo
racconta di come sia riuscito ad eliminare i cospiratori, ma il re non gli
crede ed, in effetti, le cose sono andate diversamente. L’uomo senza nome, con
la collaborazione di Spada Spezzata, Neve Che Vola e Cielo, i tre che prima
affermava di aver eliminato, ha creato questa messinscena per poter chiedere al
re di Quin di diventare imperatore della Cina, nel rispetto dei sudditi ed
evitando una guerra secolare. Costretto dalla sua posizione di re, il futuro
imperatore fa ugualmente giustiziare l’uomo senza nome.
Prendendo spunto da una leggenda cinese, cui si deve sempre
partire per mettere in scena un wu xia
pian, genere classico del cinema orientale ed in special modo cinese, Zhang
Yimou ne approfitta per raccontare dal lato opposto una storia dai forti
connotati nazionalisti ed imperialisti, cioè non tramite l’esaltazione della
forza e del potere ma scegliendo invece di mettere in primo piano le vicende di
un uomo (e di un gruppo di uomini) pronti al sacrificio pur di ottenere la pace
sul proprio territorio. Ad un re solitario e temuto il regista oppone quindi una
figura sacra (il funerale finale) alla quale il potere non riesce a
sottomettersi per innate ragioni, ma che probabilmente (poiché è da qui che
parte la storia dell’impero cinese) è sì forte da lasciarne il segno. Dotato di
una fotografia superba (ed autocelebrativa viste le attitudini del regista a
comporre l’immagine che passa sullo schermo) Hero inizia male e finisce decisamente meglio, tra stanchi
combattimenti ed apoteosi dell’immagine, tra melodrammi sentimentali e metafore
d’ampio respiro (l’arte della spada come l’arte della scrittura), ed un
rispetto della narrazione superiore a molte pellicole di questo genere apparse
di recente nelle sale occidentali. Se è vero che da un lato esiste una
sovrabbondanza dell’immagine composta, una sontuosità rara, bisogna invece
riconoscere alla storia un’asciuttezza ricercata che ripercorre la stessa
struttura di Rashomon (1950) di Akira
Kurosawa (l’impossibilità di raggiungere la verità, in Hero marcata dalla scelta dei differenti colori) e che sa anche
prendere spunto dal teatro classico (la figura del coro nel finale). Molto
bravi tutti gli attori (un cast eccellente fatto di vere stars orientali), meno
belle le coreografie rispetto a quelle cui il genere ci ha abituati, il film ha
esordito con la presentazione al festival di Berlino ed ha concluso il suo
percorso con una nomination agli Oscar come miglior film straniero.
Bucci Mario
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