Tutte
le ore feriscono…l’ultima uccide. Jean-Pierre Melville. 1966. FRANCIA.
Attori: Lino Ventura, Paul
Meurisse, Raymond Pellegrin, Marcel Bozzuffi, Christine Fabrega, Michael
Constantine
Durata: 150’
Titolo
originale: Le
deuxième souffle
20 novembre ore 5: 58. Tre uomini
cercano di evadere dal carcere. Per due di loro è fatta, uno muore, poi la
coppia in salvo si divide. Gustave Menda, uno degli evasi, torna a Parigi per
incontrare Manuche, una sua vecchia fiamma, mentre l’attuale uomo di lei,
Jacques il Notaio, è freddato nel proprio locale. C’è una guerra di
contrabbando di sigarette tra Marsiglia e Parigi, e Gustave è scappato di
prigione proprio nel momento sbagliato. Con l’aiuto dei suoi vecchi amici
riesce ad ottenere un rifugio a Marsiglia, nell’attesa di espatriare in Italia.
Poco prima della partenza gli è offerta però l’occasione di assaltare un
furgone carico di platino e lui, evaso dopo aver fatto un memorabile colpo ad
un treno carico d’oro, accetta. Il colpo riesce ma grazie all’astuzia ed alla
caparbietà dell’ispettore Blot, Gustave è scoperto e fatto cadere in una
trappola che lo fa apparire come uno spione. La malavita gli gira le spalle, e
lui, che riesce ancora una volta a fuggire dall’ospedale nel quale è tenuto
sotto osservazione, torna in gioco per risolvere tutte le questioni lasciate in
sospeso. Tranne una, quella di partire con Manuche, perché dopo aver freddato
la banda rivale, è ucciso dalla polizia.
Un’evasione muta con un’aria
bauhaus, inizia così il polar di Jean-Pierre Melville, senza quel lungo piano
sequenza che seguiva Maurice Faugel ne Lo
spione (1962), ma con la stessa silenziosa quiete che anticipa una
tempesta. Girato con la chiara luce del sole sotto la quale si muovono i suoi delinquenti,
raffinati ed a volte eleganti trafficanti di contrabbando, capaci anche di
uccidere a sangue freddo, Tutte le ore
feriscono… è un film fatto soprattutto di silenzi che fendono l’aria e
accrescono la tensione (l’evasione, la rapina al portavalori), ricamato su
volti memorabili che diventano maschere e modelli per il genere, interpretate
da attori in vena che sanno ben stare sulla riga della sceneggiatura, complessa
come un vero romanzo noir, e schietta come una pallottola in corpo. Gustave
Menda è un uomo che appartiene alla vecchia scuola, forse l’ultimo
rappresentante di una delinquenza che sa difendere il proprio nome, che
potrebbe lasciare tutto e scappare con Manuche, la donna che tutti desiderano,
commissario compreso, ma che lui sa di non poter mai avere al fianco. Allora il
polar melvilliano diventa anche melò, nell’impossibilità di una donna di
fuggire con l’uomo che per anni ha cercato di difendere, aiutare, amare. Come se
avesse un caleidoscopio fra le mani, il regista si diverte spesso a cambiare le
nature dei protagonisti: quando una battuta sola fa presumere al pubblico che
le cose possano essere diverse da quelle che appaiono, cambia percorso,
nasconde la verità, senza nascondere il destino fatale che sembra attendere
ogni protagonista. La tragedia, infatti, si consuma nel finale, ma accompagna i
personaggi ad ogni passo, guardando assassini e morti in soggettiva (compresa
la caduta dalla moto di una guardia) e lasciando in vita una donna che sapeva
dal principio che sarebbe rimasta sola. Merito di questo film, oltre la figura
di Gustave interpretata dall’ottimo Lino Ventura, la scelta di un commissario,
Blot interpretato da Paul Meurisse, che anticipa ciò che il genere noir già
conosce e che quindi presuppone un percorso diverso dalle solite pellicole che hanno
arricchito il genere. Per entrambi i personaggi (protagonista ed antagonista
Ventura/Meurisse) il ruolo di difendere il vecchio stile (il rispetto della
volontà di Gustave con la dichiarazione fatta trovare in terra ai giornalisti).
C’è un po’ di Godard esordiente, già a partire dal titolo che ricorda quello
originale di Fino all’ultimo respiro / A bout de souffle (1960), ma molto Melville, che non è affatto
poco, capace di riprendere dalla cultura americana dei film di genere quasi
tutto ciò che occorre per arricchire il polar e renderlo assolutamente
personale: la scena della rapina al furgone portavalori è in realtà un assalto
alla diligenza tipico del genere western; la lotta fra bande per il
contrabbando riprende il tema dei gangster movie; il tentativo d’estorsione dei
due delinquenti a Manuche sembra invece preso direttamente dalle pagine di un
romanzo scritto da Raymond Chandler (anche se il film in realtà è tratto da un
romanzo scritto da Josè Giovanni, co-autore anche di parte dei dialoghi). Qualche
anno più tardi, in Italia esplose il poliziottesco e colpisce vedere come in
questo film parecchi boss della malavita anticipano quelli di casa nostra nello
stile e negli atteggiamenti (forse perché entrambi, Melville e i nostri poliziottescari, erano accusati di avere
idee politiche di destra). Non c’è tempo per guardare le ballerine francesi
mostrare le proprie gambe, c’è una guerra per il contrabbando in corso e quel
che interessa è rimanere in vita, fino all’ultima ora. La versione originale della pellicola dura cinque minuti in più [i].
Bucci Mario
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