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Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide - Le deuxième souffle
Anno: 1966
Regista: Jean-Pierre Melville;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


La grande guerra

Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide.  Jean-Pierre Melville. 1966. FRANCIA.

Attori: Lino Ventura, Paul Meurisse, Raymond Pellegrin, Marcel Bozzuffi, Christine Fabrega, Michael Constantine

Durata: 150’

Titolo originale: Le deuxième souffle

 

 

20 novembre ore 5: 58. Tre uomini cercano di evadere dal carcere. Per due di loro è fatta, uno muore, poi la coppia in salvo si divide. Gustave Menda, uno degli evasi, torna a Parigi per incontrare Manuche, una sua vecchia fiamma, mentre l’attuale uomo di lei, Jacques il Notaio, è freddato nel proprio locale. C’è una guerra di contrabbando di sigarette tra Marsiglia e Parigi, e Gustave è scappato di prigione proprio nel momento sbagliato. Con l’aiuto dei suoi vecchi amici riesce ad ottenere un rifugio a Marsiglia, nell’attesa di espatriare in Italia. Poco prima della partenza gli è offerta però l’occasione di assaltare un furgone carico di platino e lui, evaso dopo aver fatto un memorabile colpo ad un treno carico d’oro, accetta. Il colpo riesce ma grazie all’astuzia ed alla caparbietà dell’ispettore Blot, Gustave è scoperto e fatto cadere in una trappola che lo fa apparire come uno spione. La malavita gli gira le spalle, e lui, che riesce ancora una volta a fuggire dall’ospedale nel quale è tenuto sotto osservazione, torna in gioco per risolvere tutte le questioni lasciate in sospeso. Tranne una, quella di partire con Manuche, perché dopo aver freddato la banda rivale, è ucciso dalla polizia.                   

Un’evasione muta con un’aria bauhaus, inizia così il polar di Jean-Pierre Melville, senza quel lungo piano sequenza che seguiva Maurice Faugel ne Lo spione (1962), ma con la stessa silenziosa quiete che anticipa una tempesta. Girato con la chiara luce del sole sotto la quale si muovono i suoi delinquenti, raffinati ed a volte eleganti trafficanti di contrabbando, capaci anche di uccidere a sangue freddo, Tutte le ore feriscono… è un film fatto soprattutto di silenzi che fendono l’aria e accrescono la tensione (l’evasione, la rapina al portavalori), ricamato su volti memorabili che diventano maschere e modelli per il genere, interpretate da attori in vena che sanno ben stare sulla riga della sceneggiatura, complessa come un vero romanzo noir, e schietta come una pallottola in corpo. Gustave Menda è un uomo che appartiene alla vecchia scuola, forse l’ultimo rappresentante di una delinquenza che sa difendere il proprio nome, che potrebbe lasciare tutto e scappare con Manuche, la donna che tutti desiderano, commissario compreso, ma che lui sa di non poter mai avere al fianco. Allora il polar melvilliano diventa anche melò, nell’impossibilità di una donna di fuggire con l’uomo che per anni ha cercato di difendere, aiutare, amare. Come se avesse un caleidoscopio fra le mani, il regista si diverte spesso a cambiare le nature dei protagonisti: quando una battuta sola fa presumere al pubblico che le cose possano essere diverse da quelle che appaiono, cambia percorso, nasconde la verità, senza nascondere il destino fatale che sembra attendere ogni protagonista. La tragedia, infatti, si consuma nel finale, ma accompagna i personaggi ad ogni passo, guardando assassini e morti in soggettiva (compresa la caduta dalla moto di una guardia) e lasciando in vita una donna che sapeva dal principio che sarebbe rimasta sola. Merito di questo film, oltre la figura di Gustave interpretata dall’ottimo Lino Ventura, la scelta di un commissario, Blot interpretato da Paul Meurisse, che anticipa ciò che il genere noir già conosce e che quindi presuppone un percorso diverso dalle solite pellicole che hanno arricchito il genere. Per entrambi i personaggi (protagonista ed antagonista Ventura/Meurisse) il ruolo di difendere il vecchio stile (il rispetto della volontà di Gustave con la dichiarazione fatta trovare in terra ai giornalisti). C’è un po’ di Godard esordiente, già a partire dal titolo che ricorda quello originale di Fino all’ultimo respiro / A bout de souffle (1960), ma molto Melville, che non è affatto poco, capace di riprendere dalla cultura americana dei film di genere quasi tutto ciò che occorre per arricchire il polar e renderlo assolutamente personale: la scena della rapina al furgone portavalori è in realtà un assalto alla diligenza tipico del genere western; la lotta fra bande per il contrabbando riprende il tema dei gangster movie; il tentativo d’estorsione dei due delinquenti a Manuche sembra invece preso direttamente dalle pagine di un romanzo scritto da Raymond Chandler (anche se il film in realtà è tratto da un romanzo scritto da Josè Giovanni, co-autore anche di parte dei dialoghi). Qualche anno più tardi, in Italia esplose il poliziottesco e colpisce vedere come in questo film parecchi boss della malavita anticipano quelli di casa nostra nello stile e negli atteggiamenti (forse perché entrambi, Melville e i nostri poliziottescari, erano accusati di avere idee politiche di destra). Non c’è tempo per guardare le ballerine francesi mostrare le proprie gambe, c’è una guerra per il contrabbando in corso e quel che interessa è rimanere in vita, fino all’ultima ora. La versione originale della pellicola dura cinque minuti in più [i].               

 

 

Bucci Mario

[email protected]

 



[i] Paolo Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi