Tokyo godfathers – I
padrini di Tokyo. Satoshi Kon & Shogo Furuya. 2003. GIAPPONE.
Attori: animazione
Durata: 91’
Titolo
originale: Tokyo godfathers
Giappone. Tokyo. Vigilia di
Natale. Tre barboni stanno litigando e mentre due di loro, un uomo ed una ragazza,
si azzuffano, tra l’immondizia s’alza il pianto di una neonata abbandonata.
Preoccupati della sorte della piccola, i tre si mettono in cerca dei genitori
che l’hanno abbandonata. Tra sicari ed ambulanze che
infrangono vetrine, tra pestaggi fascisti e passati assopiti che riemergono,
madri psicolabili e locali per spogliarelliste, i tre barboni riusciranno sia a
riportare la bambina ai genitori cui era stata sottratta, sia a ricongiungersi
con il proprio passato.
Tokyo godfathers è un esempio di cinema d’animazione che non si
accontenta di piacere a se stesso, di godere cioè delle possibilità infinite
che il cinema animato è in grado di produrre, ma che invece sapientemente sa
finire sul grande schermo con le stesse potenzialità di una qualsiasi pellicola
dallo stile narrativo di chiara ispirazione letteraria. Il film diretto da Kon
& Furuya, infatti, rapisce, affascina e commuove come una pellicola europea
per metà francese (il tema dei barboni e del disagio esistenziale) e per metà
diretta da Almodovar (il personaggio omosessuale ed il senso materno), diverte
come una pellicola del cinema comico classico (l’inseguimento finale),
sorprende come un film di Quentin Tarantino (l’omicidio al ricevimento o
l’incidente dell’ambulanza), ammalia come il teatro classico orientale (il
sogno di Hana raccontato con le maschere) e gioca, scherza e prende in giro
senza offendere il pubblico più esigente ed attento. È una storia di Natale dai
canoni capovolti (la famiglia scomposta della società occidentale che si ricompone
di fronte alla nascita) ma dagli stessi effetti toccanti e poetici (il raggio
di sole che salva la bambina) che non scadono mai nel mieloso. La realizzazione
è altissima, niente è lasciato al caso, e la cattiveria che viene
sommersa dalla neve continua a serpeggiare fino all’ultimo momento in cui a
schiarire le tristi avventure dei tre (quattro con la piccola) è un solo, unico
raggio di sole che striminzito cerca i protagonisti tra i gelidi palazzi della
capitale. Certo, tutti i nuclei famigliari che si erano sfasciati sembrano
ricomporsi, ma il passato tragico di ognuno ha un tale spessore da lasciare
ugualmente l’amaro in bocca, quando si pensa ad una società come la nostra (che
il Giappone ultra rappresenta) gravida di picchiatori, folli, assassini e
indifferenza. Proprio quest’ultimo aspetto è quello che meglio vien fuori da
questo film, in cui le persone benestanti passano in fretta sullo schermo
diventando a loro volta fondali, massa popolosa sul quale si poggiano le
disavventure dei barboni. Crudo e dolce, come pochi film
d’animazione riescono ad essere, adatto soprattutto ad un pubblico adulto che
non ha solo voglia di divertirsi.
Bucci Mario
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