Fronte
del porto. Elia Kazan. 1954. USA.
Attori: Marlon
Brando, Eva Marie Saint, Karl Malden, Rod Steiger, Lee J. Cobb, Nehemiah
Persoff
Durata: 108’
Titolo originale: On the waterfront
New York. L’ex pugile Terry Malloy,
fratello di Charley, per fare un favore al boss Johnny Friendly, organizza
involontariamente la morte di un amico che alcuni giorni dopo avrebbe
denunciato ad una commissione d’inchiesta gli illegali comportamenti del boss
sul posto di lavoro. Sono, infatti, tutti braccianti portuali e la banda di
Friendly gestisce il mercato delle risorse umane. Dopo la morte del ragazzo, tra
i lavoratori Terry viene visto come fiancheggiatore della gang ed allontanato,
mentre ad avvicinarsi a lui ed alle questioni del porto è un prete, padre
Barry. Terry intanto s’innamora di Edie Doyle, sorella del ragazzo ucciso, e
che è in cerca di scoprire di chi lo ha ucciso. I braccianti accettano di
incontrarsi in chiesa per discutere della loro condizione, ma un gruppo di
picchiatori inviato da Johnny Friendly disperde i partecipanti. Un bracciante
si lascia però convincere dal prete a denunciare il boss, ma il giorno prima di
andare in tribunale viene ucciso con un finto incidente di lavoro. Terry è
combattuto sul da farsi e convinto da padre Barry dice la verità a Edie, che da
lui fugge. Il ragazzo decide allora di denunciare il boss, senza che il
fratello Charley riesca a fargli cambiare idea e che per questo motivo viene
ucciso dal boss. Dopo aver testimoniato contro di lui, Terry perde ovviamente anche
il lavoro e la stima dei compagni che, preoccupati di essere licenziati, lo allontanano
come uno spione. Terry allora affronta a mani nude il boss Johnny Friendly e su
richiesta dei colleghi si sostituisce a lui come datore di lavoro.
È strano come uno dei film
considerato da molti come un caposaldo del cinema sia così ricco di
contraddizioni sia estetiche che morali. Esso infatti, ispirato da un racconto
di Budd Schulberg, a sua volta basato su una serie di articoli giornalistici di
Malcolm Johnson premiati con il premio Pulitzer, tratta, oltre all’organizzazione
operaia contro il sindacato, soprattutto della condizione del regista nel
panorama artistico americano e di un particolare momento storico che concluse
cioè il periodo in cui collaborò con il maccartismo. Fronte del porto, infatti, tratta della storia di uno spione, di un
ragazzo selvaggio dagli occhi tristi che non sa da che parte stare, abituato a
dare pugni e a vendersi gli incontri, concreto e difficile, che alla fine, dopo
che da tutti è stato incompreso, redento, si ritrova ad essere nominato leader
di un gruppo di braccianti incapaci di rivoltarsi contro la gang del boss. Se
quindi da un lato c’è una sorta di volontà redentiva da parte del regista, di
voler esorcizzare con questo film la sua collaborazione fatta compilando le
liste di McCarthy, c’è dall’altro la forza, o se vogliamo chiamiamola la
prepotenza, del grande regista che un po’ si sente, nonostante tutto, ancora un
leader. A questo scopo si deve forse la scelta dell’attore protagonista alla
quale figura deve molto il suo interprete, Marlon Brando, con il personaggio di
Terry passato alla storia per il suo sguardo fiero che non ascolta chi gli
parla, e che s’illumina di scaltra caparbietà. I suoi occhi in questa pellicola
hanno il senso della sfida nascosto sotto le ciglia, sorretto dal gesto di masticare
la gomma che dà al personaggio quell’aria da bullo indomito, tirapugni per
vocazione che probabilmente Kazan voleva per parlare anche di se stesso. Molto
forte nel personaggio (e nella storia) è il senso di redenzione dunque, al
quale il regista stesso sembra aggrapparsi, ma che come si è visto diventa alla
fine responsabilità messianica. In questo è molto importante il ruolo giocato
dal soggetto, scritto da Schulberg, anch’egli collaboratore di Mc.Carthy. Tornando
alle contraddizioni di questo gran film, a parte la necessità con la quale è
stato realizzato, altri piccoli segnali d’indecisione che caratterizzano il
passaggio del regista da una fase all’altra della sua carriera: uscito dal circuito
di Hollywood, il regista va a girare a New York, quasi solo in esterno, senza
troppo intervenire con le luci per ricavare un aspetto realistico, ottenendo
una meravigliosa fotografia di Boris Kaufman che però sembra voler comunque
correggere ciò che è grezzo o spigoloso, mostrando un retaggio manieristico. Kazan
insomma, sceglie di allontanarsi da Hollywood, ma rifà il cinema hollywoodiano
a New York, ovviamente benissimo, con una gran gestione degli attori cioè ed un
calibratissimo uso del montaggio strutturato come fosse un crescendo
dall’ingresso di Terry sul molo (all’inizio del film, con pochi cambi
d’inquadrature) fino alla sequenza finale in cui Marlon Brando si trascina dopo
essere stato pestato (con molti cambi d’inquadratura, ma anche con soggettive e
fuori fuoco). Dopo Fronte del porto,
il cinema di Kazan è dunque pronto per cambiare. L’ultima immagine, quella che
vede la saracinesca abbassarsi mentre i braccianti vanno a lavoro, evoca in un
certo senso Metropolis (1927) di
Fritz Lang. Dopo essere stato presentato al Festival del cinema di Venezia,
ottenendo il Leone d’argento ed il premio dei cattolici (la figura del prete,
interpretata da Karl Malden, è quella che ne esce meglio) il film stabilì un
record alla notte degli Oscar, ottenendo ben tre nominations per lo stesso
ruolo (attore non protagonista) su un totale di dodici: ne vinse otto con
miglior film, regia, attore, attrice non protagonista, sceneggiatura,
fotografia, scenografia e montaggio.
Bucci Mario
[email protected]