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Buud Yam
Anno: 1997
Regista: Gaston Kaboré;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Burkina Faso;
Data inserimento nel database: 02-04-1998


Buud Yam

Buud Yam

Regia: Gaston J-M Kaborè
Sceneggiatura:Gaston J-M Kaborè
Fotografia: Jean Noël Ferragut
Montaggio: Didier Ranz, Marie Jeanne Kanyala
Suono: Daniel Ollivier, Frédéric Attal, Sylvain Lasseur
Musica: Michel Portal
Interpreti: Serge Yanogo, Amsatou Maiga, Sévérine Oueddouda,
Colette Kaboré, Augustine Yaméogo, Boureima Ouédraogo,
Joseph Yanogo, Hyppolite Ouangrawa, Odilia Yoni
Formato: 35 mm.
Durata: 97´
Provenienza: Burkina Faso
Produzione: Cinécom Production
Distribuzione: COE, Via Lazzaroni 8
20124 Milano, tel: 39026696258, Fax: 390266714338


Vediamo all´opera la creazione di un mito descritto con i toni della fiaba e senza dimenticare nessuna delle funzioni proppiane, ma a partire da tranches de vie ritratti da una fotografia nitida e precisa nei dettagli, quanto minuziosa è la ricostruzione della quotidianità nei villaggi della savana burkinabé all´inizio del secolo scorso, affidata a dolci movimenti in dolly che trascorrono da una capanna all´altra, alternandosi a inquadrature che sembrano stampe a sfondo illustrativo, tipiche del XIX secolo.
I prodromi sono inanellati ricorrendo alla sapienza narrativa dei mega-recit di tutto il mondo: la paura della vita espressa come incubo ricorrente, che può condurre ad ammalarsi; il terrore di crescere, preludio per il viaggio iniziatico, inserito in un ambiente ostile, privo di legami di sangue, ma con il padre adottivo che funge da aiutante magico nell´impresa di ¨placare il villaggio¨, presupposto animista che conferisce quell´aura spirituale, indispensabile per rendere credibile l´impianto del film.
L´assunto attorno a cui ruota la vicenda è: ¨A ciascuno il proprio destino¨, ribadito più volte durante l´intero intreccio; al di là del suo significato è proprio questo a consentire la costruzione del mito, il quale nasce nelle predizioni (possibili solo se si ammette l'esistenza di un destino già tracciato per ciascuno), verificate poi puntualmente dalle immagini delle vicende documentate dal film, di per se stesso già mitopoietico, e per buona misura nel finale accenna pure a mostrare le prime narrazioni del mito ormai completato in ogni sfaccettatura, concludendo il ciclo verbo-icona-Verbo. Quando poi a ben vedere il mito narrato si riduce alla missione, ma in fondo anche uno dei miti fondativi dell'Occidente (Odisseo) è un racconto di vagabondaggio.
Il primo vaticinio è quello del viaggio ¨interminabile¨, metafora di quello che ognuno vuole investirci, e nasce dal riuscire a nominare l´incubo, descrivendone i contorni (¨un serpente avvinghiato al mio corpo e un uomo di cui non riuscivo a vedere il volto¨ accenna la sorella), prestando attenzione ad aggiungere i tasselli della narrazione poco alla volta, per dilatare l´attesa e l´attenzione di chi assiste al racconto, che già immagina il plot, entrando a far parte del novero dei tanti che hanno doti di premonizione nel film, essenziali per testimoniare la presenza del destino: infatti molti dei personaggi incrociati nel viaggio indovinano il passato e il futuro.¨Dagli occhi¨. La gestazione del mito prevede che si intreccino passato e futuro in un presente che restituisce principio di realtà alla preveggenza e al ricordo, dunque affidando a molti personaggi (primo tra tutti la sorella malata) l´incarico di presentire il futuro, il regista ha dovuto inserire anche spunti sul passato; a tale scopo nelle tappe notturne dell´itinerario iniziatico il solitario giovane rievoca con cromatismi dorati il suo passato: dalla morte della madre, ai giochi con la sorella, al salvataggio operato da un uomo, che incontrerà nel suo vagabondaggio dopo la disavventura nel deserto.
Il viaggio di formazione si dipana attraverso incontri con la realtà esterna al villaggio, mentre limitati sono quelli con il sovrannaturale; l´unico caso in cui si presenta uno spirito, Wend Kuuni viene invitato a recedere da una voce che lo consiglia e che egli attribuisce alla sorella. Infatti non si abbandona all´avventura come negli altri casi, denunciando gli intenti didascalici, tesi a negare la facoltà di accedere a pratiche magiche, privilegiando invece la conoscenza dei popoli. Tant´è vero che sembra un inno alla solidarietà tra le genti: ogni viandante è disponibile, leali gli ospiti, pronti ad aiutarsi i viaggiatori; però amici si diviene solo dopo che si sono scambiati i racconti delle proprie vicende e il giovane si trova nella condizione di doversi far accettare dalla comunità che lo ha adottato, perché in fondo è considerato straniero. Il motivo del viaggio conferma questo aspetto sociale e comunitario: deve trovare un guaritore, che attraverso la sua conoscenza delle erbe risani la sorella sempre più debilitata, ma utili anche a tutto il villaggio. Le prove che deve affrontare non sono portentose, mentre lo sono i paesaggi, sbilanciando sul lato della natura il carattere spettacolare