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Calore - Heat
Anno: 1971
Regista: Paul Morrissey;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


Calore

Calore.  Paul Morrissey. 1971. U.S.A.

Attori: Joe Dallesandro, Sylvia Miles, Andrea Feldman, Pat Ast.

Durata: 100’

Titolo originale: Heat

 

 

Hollywood. Un motel diventa teatro dove strane figure si incrociano e qualche storia sembra aver inizio. E’ questo il caso di Joey Davis, ex attore della televisione in cerca di una carriera come cantante, che per non pagare troppo l’affitto si concede alla grassa proprietaria fino a che non conosce Sylvia, ex attrice famosa e madre di una ragazza con un figlio e diversi problemi psichici. Sylvia decide di farlo vivere con lei nella sua lussuosa villa, ma la figlia, pur di rovinarle la vita, fa di tutto per adescare Joey, interessato invece ad essere mantenuto da Sally la quale gli ha anche promesso di rilanciare la sua carriera. Quando Joey decide di interrompere la relazione, la donna cercherà di ucciderlo, ma scaricandogli addosso una pistola senza colpi.

Ultimo appuntamento della trilogia pensata, scritta e diretta dal regista Paul Morrisey, uno dei personaggi più atipici dell’intero sistema cinematografico. Ancora una volta protagonista è il suo attore feticcio Joe Dallessandro, questa volta nei panni di un arrampicatore di perdente natura che cerca di risalire la china dello spettacolo affidandosi ad una donna, l’ottima Sylvia Miles, con più problemi di lui (una figlia pazza con un bambino, quattro matrimoni falliti e una serie di debiti ai quali non rinuncia pur di mantenere alto il suo standard di vita). Dotato di uno sviluppo dei mezzi tecnici superiore ai precedenti lavori della trilogia (riconoscibile già dai titoli di testa, questa volta inseriti sulle immagini) il film gode anche di una storia tutto sommato più compiuta, senza rinunciare ai caratteristici personaggi colorati e provocanti che hanno caratterizzato l’intero percorso di Morriseey (la coppia incestuosa di fratelli; la libidinosa proprietaria del motel). Se il primo episodio, Flesh (1968), trattava della prostituzione, ed il secondo, Trash (1970), della tossicodipendenza, il terzo ed ultimo capitolo sembra mettere entrambe le cose sulla cima delle colline più alte di Hollywood, dove alla prostituzione si associa appunto la (tossico)dipendenza da un sistema, quello del cinema e della televisione, al quale sia Sylvia che Joey non vogliono rinunciare, a dal quale gli altri personaggi sembrano affascinati o sottomessi (la padrona del motel o la copia di fratelli incestuosi). Dotato di una maggiore attenzione alla grammatica cinematografica, il film perde molto delle caratteristiche lanciate con il primo episodio (soprattutto nel montaggio) e sebbene dia l’impressione di guadagnare qualcosa, in realtà sembra addolcirsi, perdersi proprio alla ricerca di una maggiore linearità della successione delle immagini. Certo, a fare da contrappeso c’è sempre dall’altra parte la storia, carica di personaggi e fatti che non rispettano assolutamente la grammatica ufficiale delle sceneggiature hollywoodiane, ma senza quella verve così radicale che aveva caratterizzato il primo lavoro, qualcosa sembra essersi persa per strada. A differenza delle prime due pellicole, qui non siamo più a New York, ma in California, anche se la differenza non sembra tanta poiché ad un mondo autodistruttivo come quello rappresentato nella Grande Mela, corrisponde un mondo distruttosi già da tempo, come il mondo delle star decadute che aspirano ancora al cielo, spinte da una luce egoistica e fondamentalmente fredda (l’abbandono di Joey) e disperata (la rabbia di Sylvia). Rimane comunque il più divertente della trilogia, anche se non perde la sua crudezza ed il suo pessimismo di fondo. Prodotto ovviamente da Andy Warhol, il film è anche una rilettura grottesca del classico Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder.  

 

 

Bucci Mario

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