Secretary.
Steven Shainberg. 2002. USA.
Attori: James
Spader, Maggie Gyllenhaal, Jeremy Davies, Patrick Bauchau, Stephen McHattie, Oz
Perkins, Jessica Tuck
Durata: 104’
Una segretaria, bloccata da un attrezzo masochistico,
prepara la colazione per il suo capo. Flashback. Sei mesi prima. Lee Holloway è
una ragazza infelice. Il giorno del matrimonio di sua sorella per esempio, lei,
si ferisce per provare un’emozione. Insoddisfatta, tornata a casa con i
genitori dopo due anni in un istituto per cure mentali, cerca lavoro e risponde
all’annuncio di un avvocato alla ricerca di una segretaria. Conosce così Edward
Gray, esigente e solitario avvocato che la assume. Intanto a farle la corte è
Peter, un suo ex compagno del liceo appena uscito da un esaurimento nervoso. In
ufficio invece, l’avvocato Gray incomincia a notarla e soprattutto a fare
attenzione al suo bizzarro modo di lesionarsi con penne o matite. Tra i due
nasce una passione che porta l’avvocato a sottometterla in ogni minimo
atteggiamento, e lei ad accettare, consapevolmente, qualsiasi umiliazione. Un
giorno però la ragazza viene licenziata ed inizia a frequentare altri uomini
prima di accettare la proposta di matrimonio di Peter, alla quale poi rinuncia.
Si barrica in ufficio nell’attesa che l’avvocato torni. I due si sposano.
Tratto da un racconto di Mary Gaitskill, preso a sua volta
dalla sua raccolta Bad behavior, il
film di Steven Shainberg affronta con eccessivo compiacimento una condizione
femminile sottomessa e debole, ed una relativa mascolinità che tende a
sottometterla. È vero che si tratta di adulti consenzienti (ma quanto visto che
lei esce da un istituto clinico?) e che quindi tutte le pulsioni sessuali non
possono essere viste come violente o eccessive ma come volontarie, ma comunque oltre
questo nel film si sente la mancanza di una vera e propria storia (d’amore?
drammatica? sincera?) soprattutto alla luce di un finale scontato. È
un’attrazione distante quella dei due protagonisti, che per quasi tutto il film
sembrano evitare il contatto (la doppia masturbazione senza contatto ne è
un’immagine), attrazione dettata soprattutto da una condizione di lavoro, lui
avvocato e lei segretaria, che incide sul sesso almeno quanto sulla vita
ordinaria. Il finale, che ribalta le due condizioni (un classico del rapporto
tra dominatori e dominati) alla ricerca della tenerezza, oltre che scegliere la
strada dell’happy end, riporta la stessa condizione dall’ufficio nel
quotidiano. Patinato, distante, troppo falso perché passi come vero, il film potrebbe
giocare forse proprio sull’assurdità di quanto passa sullo schermo, ma non
riesce a giovarsene, ed inficiando d’inutilità l’intero lavoro. Se il regista
voleva insinuare del marcio nella
casta alta degli avvocati d’America, il colpo sembra aver mancato il bersaglio.
Adatto ad un pubblico femminile sessualmente in crisi e ad un pubblico maschile
che accompagna il pubblico femminile a vedere questo film. Erotico come il
potere, spicciolo e con un presupposto dato per scontato, involontariamente
disturbante. Per certi versi il film può sembrare una sorta di Il diario di Bridget Jones (2001) di
Sharon Maguire, più oscuro e masochistico, con qualche accenno ballardiano
(oltre a James Spader anche il tema del dolore di Crash (1996) di David Cronenberg), e, sembra strano ammetterlo, con
qualcosa di Tinto Brass (che ha spesso utilizzato il binomio sesso\potere)
sicuramente meno godereccio e volgare ma comunque molto vicino per intento. Si
salva la buona prova degli attori, soprattutto quella della brava Maggie
Gyllenhaal. Le musiche sono di Angelo Badalamenti, e l’adattamento a
sceneggiatura di Erin Clessidra Wilson, commediografa post- femminista. Il
regista John Waters, presidente di giuria del Sundance Festival 2002, per
questo film s’inventò il premio per il soggetto più bizzarro [i].
Bucci Mario
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