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Pulp fiction
Anno: 1994
Regista: Quentin Tarantino;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: U.S.A.;
Data inserimento nel database: 29-11-2004


La grande guerra

Pulp fiction. Quentin Tarantino. 1994. USA.

Attori: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Maria de Medeiros, Harvey Keitel, Tim Roth, Amanda Plummer, Christopher Walken, Ving Rhames, Eric Stoltz, Rosanna Arquette.

Durata: 154’

 

 

Los Angeles. Honey Bunny e Pumpkin decidono di commettere una rapina proprio nella caffetteria dove stanno facendo colazione. Titoli. Vincent Vega e Jules Winnfield, due sicari, irrompono nell’appartamento di Brett, un ragazzo che ha cercato di fregare il loro boss Marsellus Wallace. Si fanno consegnare una valigetta e lo uccidono. Butch Coolidge, un pugile, si vende il prossimo incontro di boxe a Marsellus Wallace. Dopo aver acquistato un po’ d’eroina dall’amico Lance, Vincent porta fuori a cena Mia, la donna di Marsellus. Una volta a casa Mia utilizza l’eroina credendo si tratti di coca e va in coma. Vincent la porta a casa di Lance dove gli viene fatta una puntura d’adrenalina nel cuore e la ragazza viene salvata e riaccompagnata a casa. Butch sogna l’orologio d’oro di suo padre e poi, una volta sul ring, vince l’incontro e scappa dall’ira vendicativa di Wallace. Raggiunge un albergo dove è nascosta la sua ragazza ma quando si accorge di non aver con sé l’orologio d’oro decide di tornare nel suo appartamento per recuperarlo. In cucina trova una pistola e un istante dopo Vincent Vega che esce dal bagno. Butch gli spara uccidendolo. In fuga, Butch incontra Marsellus sulla strada e lo investe con l’auto finendo però la sua corsa su un muretto. Marsellus si alza e gli spara mentre quello fugge via. Entrambi finiscono in un negozio dove sono messi fuori combattimento dal proprietario. Poco dopo Butch e Marsellus si ritrovano legati nello scantinato del negozio dove sopraggiunge Zed, un poliziotto sadomaso, e dove è recluso uno storpio in tuta di lattice. Approfittando di un attimo di distrazione, Butch riesce a fuggire dallo scantinato ma poi torna indietro per liberare Marsellus che i due psicopatici stanno sodomizzando. Liberandolo, Butch estingue il suo debito e torna a prendere la sua ragazza nel motel. Nella stanza dove Vincent e Jules hanno ucciso Brett, spunta un ragazzo armato di pistola che scaricandogli contro l’intero caricatore non li prende nemmeno di striscio. Il ragazzo è abbattuto dai due sicari mentre un terzo è portato via con loro. Mentre i due in auto discutono, a Vincent parte un colpo di pistola che uccide il ragazzo e sporca la macchina di sangue. I due sicari si rifugiano a casa di Jimmie ed attendono l’arrivo di Wolf, l’uomo che gli darà una mano a far sparire ogni traccia. Ripuliti, Vincent e Jules vanno in una caffetteria a fare colazione. È la tavola calda dove Honey Bunny e Pumpkin hanno deciso di fare il colpo. Pumpkin prova a prendere la valigetta di Jules ma questo, puntandogli la pistola in faccia, gli fa prendere i soldi dal portafoglio e lo lascia andare.

Dopo l’ottima prova d’esordio con Le iene (1992), ed un paio di validi soggetti di successo (Una vita al massimo (1992) di Tony Scott e Natural Born Killers - Assassini nati (1994) di Oliver Stone) il regista Quentin Tarantino si fa conoscere dal grande pubblico grazie soprattutto alla Palma d’oro a Cannes e poi all’Oscar per la migliore sceneggiatura (scritta in collaborazione con Roger Avary). Più che per il film in quanto tale, le cui citazioni non sono né nascoste né troppo aurorali, il successo che ha portato al fenomeno Tarantino è l’effetto di una serie di congiunture che solitamente mancano alla maggior parte dei registi per diventare anche loro simboli, miti, iconografie di un intero decennio cinematografico. Trattandosi, infatti, di un puro debito nei confronti del cinema di genere, che spazia dal gangster movie classico allo spaghetti western, senza disdegnare l’action orientale ed il poliziottesco all’amatriciana, la bravura del regista è stata quella di riuscire per certi versi a modernizzare i personaggi, avvilendoli nel loro lato più duro del carattere (si pensi a Vincent che muore uscendo dal bagno; alla femme fatale che rischia il coma; il boss sodomizzato) e per altri versi ad introdursi in un mercato (mondiale) nel quale le idee mancavano ed i prototipi incominciavano a ripetersi in maniera troppo seriale. Se a questa tendenza (fortuna) si aggiunge una crescente dose di violenza che il pubblico continuava a domandare, svuotata d’ogni senso critico o catartico, e servita il sala con uso narrativo fine a se stesso, è bastato l’ottimo gusto visivo del regista a fare da collante per quest’inaspettato ma esplosivo successo. Pulp fiction, infatti, prende mossa proprio da una finzione di natura pulp, un racconto popolare di breve e facile consumo, senza eccessivi approfondimenti storico-sociali, e con un solo fine, quello cioè di ripescare in un cinema dimenticato (come quello di serie B) per dare vita al cinema di serie A. Da questo momento in poi il nome di Tarantino diventa, infatti, marchio di qualità e garanzia su tutta una serie di lavori che alcune volte usciranno anche dal seminato, ma che alla fine daranno la possibilità ad una serie di pellicole di genere, solitamente considerate minori, di essere sdoganate come pellicole d’autore. Con Pulp fiction Tarantino si è ritagliato nel cinema un ruolo di profeta del basso impegno e del largo consumo, ben messo sullo schermo e divertente come un fatto assurdo raccontato al bar con i giusti toni e le adeguate immagini allegoriche più vicine all’ambiente dei gangsters. Tornando al film in quanto tale, i trucchi per ottenere questo innegabile successo sono tutti espliciti: ottima è l’impostazione narrativa, che si rincorre e si anticipa e che alla fine si conclude come la circonferenza di un cerchio; ottima è la prova di tutti gli attori (uno dei cast più invidiati di questi anni) così come grande è la capacità del regista di non prendersi sul serio (il campionario d’armi a disposizione di Butch per vendicarsi; la storia dell’orologio; il ballo di John Travolta), capacità e forza che gli è servita per non diventare bersaglio facile della critica. Riassunto il film è un insieme di esplosioni di violenza alla Takeshi Kitano (Samuel L. Jackson che ammazza il tipo sdraiato sul divano) dove però ai lunghi silenzi del regista giapponese vengono aggiunti lunghi commenti e scambi di battute privi il più delle volte di un contenuto significativo per lo svolgimento della storia (esasperazione che già si vide nella lunga introduzione de Le iene), e momenti d’esaltazione mistica (il passo 25,17 di Ezechiele: la vendetta del Signore) alternati a minacce e tormenti dei protagonisti. Prodotto tra gli altri anche dall’attore Danny De Vito, Pulp fiction ha una fotografia invidiabile (di Andrzej Sikula) ed un ritmo assolutamente “alla Tarantino”, fatto d’alternanze e contrappesi ben dosati e sempre efficaci. Per questo film si sono tirati in ballo i nomi di Sergio Leone, David Lynch, John Woo, Jean-Luc Godard (la casa di produzione di Tarantino si chiama A band apart, come l’omonimo film di Godard del 1964), Roger Corman, Martin Scorsese e il Kubrick di Rapina a mano armata (1955), ma solo lui ha avuto il coraggio di aggiungere i nomi di registi spesso dimenticati come Fernando Di Leo, Riccardo Freda, Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi….tutto ciò che in Italia si è sempre liquidato come cinema basso e popolare e che presto diventerà oggetto di ripescaggio, culto, revival. Cinefilo oltre l’intelletto, Tarantino riesce però ad evitare il rischio di passare semplicemente per un citazionista, per un costruttore di quei puzzles che riprendono vecchi quadri famosi, e se non fosse per la sua logorroica e folle dedizione al cinema di genere, sorta di sottobosco vitale del cinema, non ci sarebbe oggi quel fermento che ha caratterizzato il cinema in questi ultimi dieci anni. Come scrive il cinefilo Enrico Grezzi, gran parte del merito del film è proprio della sapienza di una sceneggiatura che non sa nulla ma che ha già visto tuttoe la Z del cinema è più vicina alla A [i]. A suo tempo la rivista Variety liquidò il film come una pellicola per spettatori giovani di sesso maschile [ii] ma in realtà, oltre ad aver reso celebre il nome del regista ed aver rilanciato sulla scena l’attore John Travolta (da tempo ai margini del settore), ed aver fatto guadagnare ai suoi produttori ben 250 milioni di dollari, Pulp fiction ha lanciato la casa Miramax come un mini-grande studio ed ha riacceso lo spirito indipendente dei filmmakers [iii], di tutti quegli appassionati cinefili che si cimentano dietro una m.d.p.. Il film in Italia uscì nelle sale con il divieto ai minori di 18 anni. Il regista recita nel film il ruolo di Jimmie, dal quale vanno John Travolta e Samuel L. Jackson per nascondere la macchina imbrattata di sangue; l’attore Steve Buscemi invece fa un cammeo come sosia di Buddy Holly. “Chiamerò qualche scagnozzo strafatto di crack per fare un lavoretto in questo cesso con un paio di pinze ed una buona saldatrice” è solo una delle migliori e singolari battute del film, di Marsellus Wallace.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]



[i] Enrico Grezzi. Paura e desiderio. Bompiani.

[ii] Irene Bignardi. Il declino dell’impero americano. Feltrinelli.

[iii] Paolo Aleotti. La Hollywood dell’era pulp. Editori Riuniti.