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Buenos Aires - Sarajevo e ritorno
Anno: 1999
Regista: Marco Bechis;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 26-11-1999


Garage Olimpo

SPEZZONI IN ANTEPRIMA DI

BUENOS AIRES - SARAJEVO E RITORNO


Regia e sOGGETTO: Marco Bechis
Dialoghi: Marco Bechis, Gigi Riva, Malcom Pagani
Fotografia: Malcom Pagani, Luca Giordana, Marco Bechis
Montaggio: Mirella D'angelo
Produzione :Caterina Giargia e Marco Bechis, via Morigi 8, 20123 Milano, tel 39-02-8051126
Provenienza: Italia
Anno: 1999
Durata: 26 min.



Il regista italiano nato a Santiago del Cile con cuore argentino (omologo cinematografico di Massimo Carlotto) ha voluto la costante presenza dei sopravvissuti sul set, Mario Villani è uno di quelli, per portare sullo schermo Garage Olimpo, che uscirà sugli schermi a gennaio; al Festival torinese abbiamo cominciato ad avere un assaggio, a tal punto stimolante che quando il montaggio di testimonianze del making si è concluso, a tutti è sembrato di aver subito una violenza, seppur minima rispetto a quelle a cui non avevamo assistito e tuttavia ci erano state descritte (probabilmente essendo presente alla nostra percezione La Notte delle matite spezzate) con tale "verità" da lasciarci dentro il lager.
Un amico argentino mi raccontò tempo fa che suo zio era sparito: nessuno ne seppe nulla per parecchi mesi, poi riaffiorò da uno di quei buchi neri che lo avevano assorbito in un universo parallelo; non volle mai raccontare particolari ma un episodio fu rivelatore. Stava parcheggiando l'auto in garage, quando si verificò un blackout: non fu più in grado di muoversi, la moglie preoccupata, lo ritrovò tremante, impossibilitato a muoversi. Il panico lo aveva immobilizzato, perché quello che era diventato un garage a pochi passi da casa sua era stata la sua prigione, il suo incubo: Bechis ci offre nell'anteprima la testimonianza di una donna che non rivela nulla, eppure è come se lo facesse specificando che certe cose le racconta soltanto alle sue piante.
Proprio questa reticenza svela il dramma: l'assenza di immagini non è soltanto l'ovvia conseguenza dell'impossibilità di possedere riprese del lager, perché i testimoni non possono svolgere il loro compito: è un orrore non elaborabile in presenza di altri (Hitchcock rifiutò sempre la proiezione delle riprese che egli fece casualmente all'apertura dei lager nazisti nel '45): è personale, sarebbe come sminuirlo, perché incomprensibile.

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In nemmeno mezz'ora assistiamo all'impasse di un lavoro di memoria argentino, che cerca spunti in un approccio a Srebrenica, dove si trova il bandolo per superare l'impiccio che bloccava il primo bisogno di "immagini da rendere più documentari possibile".
Il montaggio segue la cronologia della intuizione di base del film, riassunta dalla voce fuori campo del regista, che attraverso di essa medita con noi, maieuticamente: "La realtà tale e quale non si può rappresentare, mentre accade: le si può rubare l'anima, ma non rappresentare. Le immagini su un televisore servono soltanto a rassicurare", per quanto crudeli siano. Dapprima si prova lo stesso brivido di chi, in primo piano un po' deformata dalla vicinanza che ci fa "toccare" il suo volto, rivela di essersi sentita come chi si introduce a forza nell'intimità: sensazione voluta, perché è una delle violenze che dobbiamo provare per esperire parte della violenza anche psicologica patita dalle vittime del Proceso Militar. Sensazione moltiplicata dalla notizia che alcuni degli interpreti indossavano vestiti appartenuti realmente ai desaparecidos.
Da questo motivo discende direttamente un altro aspetto che potrebbe sembrare banale, ma che fa parte della natura di questo crimine: non ci possono essere immagini, non ci devono essere, trattandosi di scomparsi. Desaparecidos; rimangono solo i vestiti, vuoti e riempiti da simulacri. Questa assenza di indicazioni non retoriche per una messa in forma di un film senza immagini, portò al blocco della lavorazione, che troverà l'ispirazione giusta per riprendere "l'urgenza di raccontare quella violenza di vent'anni prima, riapparsa in Bosnia uguale" e quindi bisogna riprendere Garage Olimpo: "Un film sulla Bosnia va fatto in Bosnia, un film sui desaparecidos va fatto in Argentina, ma come se fosse in Bosnia". E allora rieccoci sprofondati nel lager, accompagnai dal sopravvissuto, capace di portarci sui luoghi e mostrarci attraverso i suoi occhi un torturatore che non si materializza (forse per la amnistia della Obediencia Debida), ma che chiama con nomignoli vezzeggiativi la sua picana, la macchina per torture.
La ragazza, già frutto di un meticciato, è vissuta in molti paesi e pare che abbia assorbito solo il meglio di tutte le culture che ha attraversato; e sa riconoscere una razzista: al primo incontro non le piace la nuova donna del padre, un rapporto destinato ad una repentina involuzione, risolto nella trasmissione in diretta televisiva ("Il profumo del Paese") in cui vengono smontate con sottile ironia tutte le ipocrisie del potere, preparate dalla macchietta del tecnico televisivo che trucca la realtà, cambia i nomi arabizzandoli, nasconde le braccia delle ragazze e poi sistematicamente viene sbugiardato con successo.


visto al Torino Film Festival No rights reserved © 1999