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Quasi famosi - Almost famous
Anno: 2000
Regista: Cameron Crowe;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 24-11-2004


La grande guerra

Quasi famosi. Cameron Crowe. 2000. USA.

Attori: Patrick Fugit, Billy Crudup, Frances McDormand, Kate Hudson, Jason Lee, Anna Paquin, Fairuza Balk, Philip Seymour Hoffman

Durata: 122’

Titolo originale: Almost famous

 

 

Mercoledì 9 maggio 2000.

Ho da poco rivisto il classico generazionale American Graffiti di G. Lucas, quando da qualche parte leggo di Almoust famous-Quasi famosi di Cameron Crowe. Spiazzato, senza aver visto un trailer o la locandina del film, m’infilo nel cinema Royal allo spettacolo delle 20:20 senza preoccuparmi troppo del fatto che perderò la prima batteria dei fuochi per la festa del Patrono di Bari. Si spengono le luci…

            …l’inizio è pura musica, i titoli d’apertura e le prime sequenze rallenti strappano un sorriso. Il resto è la storia di Cameron Crowe (sì, proprio lui, il regista) che con il nome di William ed il corpo di un imberbe polololo affronta la sua generazione ed i frutti del ’68 attraverso il vero filtro di quegli anni: la musica. Quindicenne, alle prese con il sogno di un futuro da critico musicale, dopo aver conosciuto il responsabile della rivista Creem, il cinico Lester Bangs, riesce a strappargli qualche dollaro, alcuni consigli ed un primo ingaggio per seguire un concerto dei Black Sabbath. Sarà la sua bravura e la passione per la scrittura, nonché l’immancabile colpo di fortuna, ad aprirgli la strada per il nemico del rock, il Rolling Stones, la rivista pietra miliare della critica giornalistica. Il compito che gli viene affidato è quello di seguire un gruppo in turnè, gli Stillwater, che spera tanto di farcela in un mondo che d’artistico man mano ne perde il significato. Intorno a loro groupies non ancora maggiorenni, la presenza costante di una mamma premurosa (non prendere droghe è il vero segreto per uscire indenni da quegli anni?) e qualche macchietta che strappa più di un sorriso.

Due ore scorrono in effetti più velocemente di una tragedia girata a Taiwan, il primo tempo più del secondo è ben costruito in modo da far più volte sorridere lo spettatore, ma il film in quanto prodotto non mi esalta. I premi del Globo d’oro per la colonna sonora (e caspita!) e per la sceneggiatura originale (forse anche la vostra vita potrebbe diventarlo con un buon writer) chiariscono il senso del tutto, come all’ultima battuta, il film per intero si spiega attraverso le parole di Russel, il carismatico chitarrista degli Stillwater, che alla domanda di William “Cosa ti piace della musica?” risponde “Tutto!”. Beh, anche in questo film la musica è tutto o meglio il film è solo quella. Probabilmente si poteva lavorare di più sul casting, tra un bassista che troppo ricorda l’highlander Cristopher Lambert ed un cantante che è la copia di provincia dell’ultimo J. Morrison. Il direttore della fotografia forse si deve essere ammalato dopo i ricchi titoli d’apertura così si risparmia per tutto il resto del film sui dettagli e tutto per giunta risplende di una luce così falsa che arriva a disorientare lo spettatore: ci sono dei momenti che non sono assolutamente il 1973 (anno in cui si svolgono gli avvenimenti) ma che ricordano quel cinema tanto anni ’90 con tanti bei vestiti trend e masse di capelli che diffondono il profumo di balsamo per la sala…. Insomma un po’ ruffiano il film lo è, e non bastano quattro battute azzeccate qua e la ed una forte critica sul sistema musicale (per altro scontata come il dna di un albino). Voglio dire che mettersi a fare demagogia sui ’70 musicali nel 2000, che di musicale non ha più niente, sa un po’ di banale. Insomma un film da ridere (ridicolo?) leggero, forse troppo considerato dalla critica (sono subito corso a controllare quella più autorevole perché ero stato attratto dal fatto che fosse un film sul rock) nel quale i protagonisti sembra non si muovano nemmeno, quasi tutti inquadrati a mezzo busto per limitare il danno dei dettagli che mancano o le carenze degli stessi attori (c’è anche la bella figlia di Goldie Hawn). Di America graffiti (l’ho citato all’inizio non a caso) conserva solo il target di pubblico, e con i miei 25 anni mi sento già vecchio per questo tipo di film; l’amarezza vera è sempre nascosta da un immediato sorriso dopo una lacrima (chiedete a Russel il motivo) in questo film non sugli anni ’70 ma sui rapporti veri/falsi nel periodo che segue la grande contestazione/contraddizione. Certo è che se la musica è tutto, quel che le sta intorno è inutile, come l’esistenza dei giornali di critica nei quali lavora lo stesso Crowe, e come probabilmente queste mie parole. Comunque il film diverte, sono io un rompicoglioni.

 

 

Bucci Mario

[email protected]